Francesco Ruggeri, Libero, 5/12/2008, 5 dicembre 2008
Pakistan alla guerra con le armi italiane | ITALIA | Francesco Ruggeri Pubblicato il giorno: 05/12/08 Mentre il mondo intero punta l’indice contro il Pakistan, accusando la sua ambigua dirigenza di sostenere ed equipaggiare i terroristi islamici autori delle stragi in India (e di quelle in Afghanistan e in Occidente), l’Italia rifornisce di armi il complesso politico-militare di Islamabad
Pakistan alla guerra con le armi italiane | ITALIA | Francesco Ruggeri Pubblicato il giorno: 05/12/08 Mentre il mondo intero punta l’indice contro il Pakistan, accusando la sua ambigua dirigenza di sostenere ed equipaggiare i terroristi islamici autori delle stragi in India (e di quelle in Afghanistan e in Occidente), l’Italia rifornisce di armi il complesso politico-militare di Islamabad. Per l’iperbolica cifra di 500 milioni di euro l’anno. Si tratta dell’ultima follia del pacifista Prodi, che nella parabola terminale della sua esperienza governativa ha autorizzato massicce esportazioni verso il ”Paese dei puri” di «missili antiaerei, razzi, bombe ed accessori, munizioni, congegni per la direzione del tiro, aeromobili, apparecchiature elettroniche e tecnologia per la produzione, siluri, veicoli terrestri, navi da guerra». Più che decuplicando in un colpo la somma delle nostre forniture annuali alla cricca che da sempre sponsorizza e addestra i sanguinari mujaheddin pashtun. Per giunta la quasi totalità delle consegne – ancora in corso - porta il marchio di un’azienda di stato, Finmeccanica. In palese violazione della legge 185 del 1990, la quale proibisce la vendita di armamenti a nazioni protagoniste di conflitti e condotte anti umanitarie. Aree tribali Nel migliore dei casi, il materiale bellico made in Italy viene utilizzato dall’esercito di Zardari per tenere alla larga mezzi e soldati della missione Nato, quando tentano di ripulire le aree tribali pakistane dove trovano rifugio i talebani. Ma non è affatto da escludere che all’arsenale di granate e bombe artigianali, impiegate dai jihadisti negli alberghi di Mumbai o Islamabad, non abbiano involontariamente contribuito anche le commesse italiane. Né che qualche missile terra aria cada sotto banco in mani sbagliate, finendo per insidiare i soldati del nostro stesso contingente in Afghanistan e i loro 4 caccia Tornado. D’altronde il sodalizio col Pakistan ha radici profonde, considerato che l’avventura atomica di quel Paese ebbe inizio anche grazie al know how del centro ricerche Abdus Salam di Trieste. Fondato dall’unico Nobel musulmano (e pakistano) per la fisica nucleare, e tutt’oggi meta per centinaia di scienziati del Pakistan Chapter. A qualche giorno dall’11 settembre indiano, le responsabilità pakistane nell’eccidio sono emerse con evidenza. L’attentatore catturato vivo, Azam Kasab, ha confessato che il commando si era preparato nei campi di Lashkar-e-Toiba (esercito dei puri). Ovvero sotto l’ala del gruppo terrorista foraggiato dall’esercito pakistano tramite il proprio servizio segreto militare o Isi. In una miscela di estremismo religioso anti occidentale. Nei covi e nelle madrasse dove si formarono la mente degli attacchi alle Torri, Sheikh Mohammed, o i kamikaze del metrò di Londra; e dove si nascose il n. 3 di Al Qaeda, Zubaydah. A fungere da trait d’union coi militanti – ai quali l’Isi avrebbe girato armi, barche e l’occorrente a livello elettronico e satellitare - il solito Dawood Ibrahim. Super ricercato mandante per le bombe del ”93 nell’allora Bombay, mai estradato dalle autorità di Rawalpindi. La regia occulta da parte dell’Inter Services Intelligence, più che un’ipotesi è un luogo comune. Tra i monti delle aree tribali autonome pakistane (le Fata), nel Kashmir conteso o nelle roccaforti del pashtunistan afgano, dal ”48 in avanti non esiste quasi attentato che non rechi lo zampino dell’Isi. E dunque, in ultima analisi, del governo di Islamabad. Gli stessi talebani che adottarono Bin Laden, e ora lo nascondono oltre frontiera, li inventò il generale pakistano Gul. Asse del male Dopo il 2001 Bush ha molto investito per portare il regime di Musharraf verso l’asse del bene. Almeno 2.4 miliardi di dollari in aiuti militari. Rivelatisi un boomerang. Al pari del conferimento al Pakistan dello status di miglior alleato Nato. Ma subito dietro gli Usa, quanto a forniture belliche, si piazza a sorpresa l’Italia. Lo sancisce la relazione 2008 della presidenza del consiglio sull’export di armi. Secondo cui entro il 2007 sono state concesse 30 autorizzazioni alla vendita di armamenti al Pakistan per 471.651.529 euro, il 19.91% dell’export di settore. A far balzare lo stato asiatico al primo posto nella lista clienti, la commessa da 442.9 milioni di missili antiaerei Spada-Aspide prodotti dalla Mbda. Un’azienda in joint venture controllata da Finmeccanica, e quindi dallo stato. Tra le altre ditte papabili - citate a prescindere dal destinatario - figurano poi Fincantieri, Agusta, Oto Melara, Galileo Avionica, Avio, Intermarine, Fiat Iveco, Alenia. Il materiale già spedito nel 2007 è stato pari a un valore di 60 milioni. A recapitare il resto si sta provvedendo. Nel 2006 le autorizzazioni verso Islamabad ammontarono a 37.9 milioni, nel 2005 a 50. Tra 2000 e 2006 a 210 milioni, con 175 di consegne effettive. Tralasciando i servizi militari fuori quota (assistenza, verifiche, manutenzione e addestramento per il materiale): ulteriori 5 milioni l’anno. E gli acquisti di armi leggere classificate civili (altri 4). Come se non bastasse, il 20 ottobre il nostro ministro degli esteri ha annunciato all’omologo pakistano Qureshi l’ingresso dell’Italia nel gruppo di dieci Paesi chiamato Amici del Pakistan. Con immediata cancellazione dei 100 milioni di euro del debito bilaterale verso Roma. Tutto ciò mentre alle forze armate italiane attendono un taglio da 838 milioni. Una botta esiziale, per una media potenza che mantiene 3000 uomini nel vespaio di Kabul. Ossia nel territorio al centro del grande gioco dell’Asia minore. Anche il massacro di Mumbai si può leggere come un episodio della partita afgana, nell’eterno confronto indo-pakistano per la profondità strategica. L’obiettivo inconfessato degli 007 dell’Isi è in realtà il fallimento della missione occidentale. E non è una coincidenza che, dopo l’elezione del vedovo della Bhutto (ostaggio degli estremisti islamici), gli attacchi degli insorti siano saliti del 30%. L’indole del nuovo esecutivo s’è palesata a settembre, al primo tentativo delle Navy seals di stanare via terra qaedisti e talebani afgani scappati nelle North West frontier provinces (Nwfp) oltre la Durand line. Da allora uomini ed elicotteri americani sono stati ricacciati con la forza in varie occasioni dai Frontier corps pakistani. Stessa sorte è toccata ai Predator di ritorno dal blitz contro Abu Haris, n.1 di Al Qaeda in Pakistan. Zardari, come pure il capo dell’esercito Kayani o il premier Gilani, l’hanno gridato ai quattro venti: mai più sconfinamenti di truppe o droni occidentali in Waziristan e Bajour. Malgrado da lì partano metà degli attacchi anti Coalizione. E per dar corpo all’anatema, hanno schierato armi e mezzi acquistati proprio in Occidente. Innescando così uno stillicidio di minacce e raffiche d’avvertimento, fino a bloccare con un pretesto l’arteria logistica Isaf-Nato attraverso il Khyber Pass. il divieto Gli unici a non accorgersi che il Pakistan è un Paese in guerra (oltre che terzo fronte della lotta al terrore) sono stati i ministri di Prodi. Infrangendo l’art. 1 della 185 sul divieto di armare «Paesi in conflitto, rei di violazioni dei diritti o che dedicano al militare risorse eccedenti la difesa». Solo nelle Nwfp da luglio ”07 a ottobre ”08 si sono registrate 1200 vittime di attentati suicidi e 1368 tra le forze di sicurezza. Più 2500 morti civili dal 7 agosto. Senza dimenticare le battaglie a bassa intensità in Kashmir o Baluchistan. E il contributo occulto all’ecatombe nelle città indiane, che da gennaio ne ha uccisi un migliaio. Persino Obama ha fatto della possibilità di un intervento armato ai danni del Pakistan un punto cardine del suo programma. Sullo sfondo di un ripristino del Pressler bill, che nel 1985 bloccò ogni aiuto militare ed economico ad Islamabad. Con un’apposita postilla anche la legge italiana prevede la revoca delle autorizzazioni all’export, «ove decadano le condizioni per il rilascio». Forse è il caso di servirsene.