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 2008  dicembre 05 Venerdì calendario

Lo scorso 26 novembre, dieci uomini armati venuti dal mare hanno tenuto in ostaggio per sessanta ore Mumbai, la capitale finanziaria dell’India

Lo scorso 26 novembre, dieci uomini armati venuti dal mare hanno tenuto in ostaggio per sessanta ore Mumbai, la capitale finanziaria dell’India. L’unico arrestato ha detto che tutti i terroristi appartenevano a Lashkar-e-Toiba, l’organizzazione islamista bandita dal Kashmir. Ma l’ex generale Hamid Gul, a lungo carismatico capo dell’Isi (i servizi segreti pachistani), considerato uno degli architetti della rivolta in Kashmir, germogliata dalla resistenza afghana contro la Russia sovietica, dissente da questa lettura della vicenda e parla di una cospirazione internazionale per stringere il cappio attorno all’arsenale nucleare pachistano e all’Isi. «E’ possibile che tra i pachistani ci siano dei giovani dal sangue caldo, esasperati per l’oppressione indiana contro i musulmani dell’India. Sarebbero stati loro a fare questi attacchi. Ma questo è proprio il modo in cui i servizi segreti confezionano le operazioni per giustificare il raggiungimento di obbiettivi più ampi», ha dichiarato l’ex capo dell’Isi, considerato ancora molto influente negli ambienti dell’intelligence pachistana. «Oggi i Paesi occidentali stanno attraversando in Afghanistan un momento difficile. Hanno bisogno di rinforzi ma nessun Paese è disposto a darli perché sono tutti sotto pressione interna. Così, per averli, guardano all’India. Ovviamente queste cose non sono facili lì, come non lo sono ovunque ci sia una forte opposizione in Parlamento che mette i suoi paletti. L’attacco di Mumbai faciliterà invece le cose e giustificherà l’intervento dell’India sul fronte strategico dell’Afghanistan», sostiene Gul. I servizi segreti americani hanno stabilito che ex ufficiali dell’esercito pachistano e dell’Isi hanno aiutato ad addestrare il commando di Mumbai, ha riferito il «New York Times» citando un ex funzionario del Pentagono. La fonte ha però aggiunto che non è stato scoperto alcun legame specifico tra i terroristi e il governo pachistano. La rivelazione è arrivata nel momento in cui l’ammiraglio Mike Mullem, capo di stato maggiore inter-armi, si incontrava a Islamabad con la sua controparte pachistana per fare pressioni affinché il Pakistan cooperi pienamente allo sforzo per individuare i responsabili degli attacchi. L’ammiraglio Mullen ha chiesto ai vertici pachistani di usare la mano pesante sulla rete dei campi di addestramento di Lashkar-e-Toiba, compresi quelli nella zona del Kashmir controllata dal Pakistan. Il rapporto del «New York Times» è apparso nel momento in cui una parte della stampa pachistana riferiva che gli Usa hanno fatto i nomi di quattro alti ufficiali dell’Isi che vanno considerati terroristi, tra i quali c’è anche Hamid Gul. «Vogliono arrivare all’arsenale nucleare pachistano - ha detto Gul -. Se riescono a sostenere che i terroristi sono all’interno dell’apparato di sicurezza pachistano, la prossima mossa sarà quella di colpire l’arsenale nucleare pachistano. In questo processo puntano anche a limitare il ruolo dell’Isi, che è l’avanguardia della sicurezza nazionale pachistana», sostiene Gul. Alla domanda sul perché si sia fatto anche il suo nome, ha risposto che la ragione sta nel suo parlar franco. «Io mi dichiaro apertamente contro la politica imperialista degli Stati Uniti. Posso leggere nella loro mente e smascherarli». Gli altri tre nomi di ufficiali sono stati fatti per dimostrare che l’Isi ha un lungo elenco di ufficiali sospetti e dunque ci sono tutti i motivi per sospendere il suo ruolo, ha aggiunto Gul. L’ex capo dell’Isi è ottimista sul fatto che l’India non oserà dichiarare guerra al Pakistan. «Pervez Musharraf dopo l’11 settembre ha fatto una inversione a U, che ha causato gravissimi danni al Pakistan e ai suoi interessi, al punto che adesso un Paese come l’India tenta di fare pressione su di noi. Ma se ci sarà la guerra, il Pakistan ritroverà la sua unità, abbandonerà la lotta al terrore guidata dagli Stati Uniti e risponderà all’India come una sola nazione».