Marco Mensurati, la Repubblica 5/12/2008, 5 dicembre 2008
ROMA «Contrazione». la parola che Adriano Galliani usa più frequentemente quando parla del futuro prossimo del calcio italiano
ROMA «Contrazione». la parola che Adriano Galliani usa più frequentemente quando parla del futuro prossimo del calcio italiano. Contrazione: termine elegante per indicare una brutale riduzione degli investimenti, l´impoverimento dello spettacolo e il calo della competitività a livello internazionale. L´aspetto drammatico è che la prospettiva non può neanche essere definita pessimistica se si considera che nei giorni scorsi in Inghilterra hanno addirittura parlato di una imminente bancarotta della Premier League. «Ma quelle - spiega Galliani - sono solo sciocchezze». E perché? «Perché la Premier League non rischia nessun crac. un sistema che produce spettacolo e soldi in quantità e come tale non rischia alcun fallimento». E la Serie A? «Nemmeno la Serie A rischia il crac. Però una pesante contrazione, quella sì. E questo perché il calcio italiano non è autosufficiente. un sistema in perdita. Con i buchi nei bilanci che vengono risanati dai proprietari. A fondo perduto». I proprietari risentono della crisi, e così riducono gli investimenti. «Esattamente. Il valore delle azioni in borsa si sono dimezzati e i presidenti delle società sono meno ricchi del cinquanta per cento». Ma questo non vale anche per gli altri paesi? «Per alcuni sì per altri no. Ma in Italia i presidenti hanno le spalle scoperte. Il fatturato di una grande squadra, una delle big four (Milan, Inter, Juventus e Roma, ndr) è dato per il 65% dai diritti tv, per il 25 dalle sponsorizzazioni e dal marketing, e per il 10 per cento dalla biglietteria. Ora, per quanto riguarda i diritti tv non credo ci saranno problemi. La recessione non porterà un grande calo di abbonati a Sky, a Mediaset e a La7. Non credo che il paese arrivi a un punto di povertà endemica tale che la gente non potrà permettersi di comprare la partita a cinque euro... E non credo nemmeno che il problema arriverà dalla biglietteria». Dalle sponsorizzazioni, invece... «Sono abbastanza preoccupato. Le aziende fanno meno utili e potrebbe accadere domani quello che accade oggi con i giornali e le tv. Grossi tagli di budget. Chi lavora con i media sa di cosa sto parlando». Anche quella del marketing è una nota dolente. «C´è uno studio della Deloitte che lo dice chiaramente: le principali differenze tra il calcio italiano e quello degli altri paesi sono gli stadi. In Italia abbiamo due grossi problemi: sono di proprietà pubblica e in coabitazione tra due squadre. Uno stadio come il Meazza che cambia di colore ogni tre giorni non ti permette di creare nulla, di investire, di progettare. Bisogna privatizzare e costruire. Poi per quanto riguarda il marketing pesano anche grosse differenze di costumi: in Inghilterra il manager va allo stadio con la maglia del Chelsea. Da noi è impensabile. Senza considerare il problema dei falsi che è insopportabile». Però c´è anche un deficit culturale dentro il calcio. La vittoria dei mondiali è stata sfruttata malissimo dal nostro paese. Il marchio Italia praticamente non esiste. «Io non voglio parlare degli altri. Al Milan, due mesi dopo che siamo diventati campioni del mondo abbiamo fatto il logo e l´abbiamo messo al petto. E poi non siamo noi che veniamo accusati di comprare le figurine solo per fare marketing?» Della Valle ha parlato di un certo imbarazzo a livello morale nel vedere in campo calciatori che guadagnano spropositi e sugli spalti gente che non arriva a mille euro al mese. «A livello morale siamo perfettamente d´accordo. Però non posso non considerare che è il mondo dello show business che funziona così. Bruce Willis prende 30 milioni a film. Una star della canzone 8 milioni a concerto. una logica che vale per tutto. Se vuoi mantenere le stelle devi dargli gli emolumenti che gli danno gli altri». E questo ci riporta al tema della contrazione e della competitività con gli altri campionati. «Già, oltretutto l´Italia è svantaggiata sul piano fiscale? In Spagna gli stranieri pagano la metà delle tasse che si pagano in Italia. In Inghilterra poco più che in Spagna... Se in Italia le cose resteranno così, tutto caricato sulle spalle degli azionisti, il futuro potrebbe essere molto problematico».