Arturo Zampaglione, la Repubblica 5/12/2008, 5 dicembre 2008
NEW YORK
Di fronte a una commissione parlamentare divisa, ostile e ancora titubante sul salvataggio dell´industria americana dell´auto, i chief executive di General Motors, Ford e Chrysler hanno esposto ieri i loro piani di ristrutturazione e hanno chiesto aiuti per 34 miliardi di dollari. «Ci servono subito almeno 4 miliardi di prestiti e altri 4 il mese prossimo», ha detto il capo della Gm, Rick Wagoner, battendosi il petto: «Abbiamo commesso degli errori e ormai alcune forze al di fuori del nostro controllo ci hanno spinto sull´orlo del baratro».
Non c´è dubbio che la recessione abbia inferto un duro colpo a Detroit come a tutta l´economia americana: e sempre ieri il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha chiesto un energico intervento per contrastare i pignoramenti delle case e permettere una stabilizzazione del mercato immobiliare, essenziale per la ripresa. La forte flessione dei consumi e il prosciugamento del credito hanno portato il mese scorso a un crollo delle vendite dell´auto: Gm -41%, Ford -31, Chrysler -47. Ma al di là dei problemi congiunturali le tre Big di Detroit pagano per i ritardi nel tagliare i costi, nel puntare su veicoli a minor consumo e nell´affrontare la concorrenza.
Adesso questi nodi sono venuti al pettine: Gm e Chrysler non hanno più soldi per finanziare le operazioni correnti e rischiano il fallimento. La Ford è in condizioni leggermente migliori, ma potrebbe fare la stessa fine delle altre due con cui condivide una parte dell´indotto e della rete di concessionari. D´altra parte il fallimento di una sola avrebbe conseguenze catastrofiche sull´intera economica americana: alcune stime parlano di un 2,5 milioni di disoccupati e un costo di 1000 miliardi di dollari. Di qui i tentativi di un salvataggio.
«Non possiamo giocare alla roulette russa con la nostra economia», ha osservato il senatore Christopher Dodd, presidente della commissione bancaria del senato all´apertura delle udienze di ieri. La posizione di Dodd e di altri democratici si scontra però con lo scetticismo dell´opinione pubblica americana, stufa di dover pagare i conti di errori e sprechi dei supermanager, e di una parte consistente del partito repubblicano. «Sono contrario agli aiuti», ha detto ieri senza mezzi termini il vicepresidente della commissione Richard Selby. E la Casa Bianca, che potrebbe agire da sola, senza neanche l´avallo del Congresso, continua a opporsi all´uso di una parte dei 700 miliardi stanziati per la crisi finanziaria.
Le udienze parlamentari continueranno anche oggi: accanto a Wagoner, al capo della Ford Alan Mulally e della Chrysler Bob Nardelli (tutti arrivati a Washington con vetture ecologiche), ci sono anche economisti, esperti e il capo del sindacato dell´auto, Ron Gettelfinger, ormai disponibile a rivedere il contratto e rinunciare ad alcune importanti garanzie, come la cassa integrazione, pur di ottenere i prestiti-salva Detroit. In teoria il Congresso è pronto a votare la settimana prossima su un piano per l´auto, ma c´è ancora molto pessimismo: tant´è vero che ieri le azioni della giapponese Bridgestone, la più grande società di pneumatici del mondo, sono crollate, trascinandosi l´indice Nikkei.