Maurizio Ricci, la Repubblica 5/12/2008, 5 dicembre 2008
ROMA - La buona notizia è che, fra un anno, potremmo scoprire che la montagna del debito pubblico ci è costata molto meno del solito
ROMA - La buona notizia è che, fra un anno, potremmo scoprire che la montagna del debito pubblico ci è costata molto meno del solito. La cattiva notizia è che, da subito, questa montagna potrebbe, invece, franarci addosso, seppellendo lo sviluppo del paese e spingendolo verso la bancarotta. In realtà, questa è un´ipotesi estrema, che la presenza dell´Italia all´interno della fortezza dell´euro rende remota. Ma è dai primi anni ´90 che l´Italia non si trova a gestire il suo debito in condizioni di pari difficoltà e fragilità. L´incubo dei Bot ci accompagnerà per tutto il 2009, quando, asta dopo asta, il Tesoro si troverà a rinnovare i 200 miliardi di euro che, normalmente, rastrella sul mercato, in una situazione in cui il credito che circola resta asfittico e in cui paesi che, di solito, ricorrono poco al mercato vi entreranno, invece, in misura massiccia: gli analisti calcolano che, l´anno prossimo, i vari governi dell´eurozona chiederanno agli investitori prestiti complessivi per 2 mila miliardi. Molti di questi governi sono in grado di attrarre gli investitori più dell´Italia, grazie a finanze più sane e più solide. Lo specchio di questa situazione è lo spread fra Bot italiani e gli equivalenti Bund tedeschi: l´Italia è costretta a pagare oltre un punto percentuale in più di interesse (una differenza che non si vedeva dai tempi della lira) per collocare i suoi titoli. Il motivo maggiore di inquietudine è, però, la fragilità strutturale del debito. Nel 1995, il grosso dei titoli di Stato era nelle mani delle famiglie italiane, il "popolo dei Bot": il 40 per cento era nelle banche e solo il 10 per cento presso investitori esteri. Nel 2006, secondo gli ultimi dati disponibili del Tesoro, la situazione è completamente rovesciata: solo il 10 per cento dei Bot è in mano a famiglie italiane. Oltre il 30 per cento è nelle banche, il grosso (53 per cento) è, ormai, debito con l´estero. Se, negli anni ´90, una fuga delle famiglie dai Bot era, anche tecnicamente, improbabile, oggi è, almeno, verosimile: banche e investitori esteri hanno molta maggior facilità delle famiglie di dieci anni fa a muovere capitali fra le frontiere. Inoltre, oggi, banche e fondi, più delle famiglie, per la stretta al credito, sono a corto di liquidità e spinti a razionare i loro investimenti. Infine, assai più delle famiglie, le grandi istituzioni finanziarie sono attente ai segnali, anche quelli non facilmente decifrabili, che manda il mercato. E i segnali che, oggi, manda il mercato sul debito pubblico italiano sono scoraggianti. Prendiamo, come termometro, i Credit default swaps. I Cds sono contratti in cui, in cambio di una tariffa, una controparte garantisce la restituzione del debito, se il debitore fallisce e smette di pagare. Solo da un mese si è gettata un po´ di luce sulla giungla di questi derivati. E si è scoperto che, all´inizio di novembre, il Cds in assoluto più trattato nel mondo era la protezione contro una bancarotta del governo italiano. Al netto di transazioni ripetute (un Cds viene venduto e rivenduto più volte) gli investitori mondiali avevano in portafoglio Cds legati al debito italiano per 22,7 miliardi di dollari, contro i 16,7 miliardi della Spagna. Seguivano Turchia e Deutsche Bank. A fine novembre, il volume netto di Cds italiani era diminuito (a 17 miliardi di dollari), ma la protezione contro un default italiano continuava ad essere la più richiesta. Anche se il costo (altro indicatore cruciale delle percezioni del mercato) continua a crescere: ancora a settembre si pagavano 40 mila dollari per garantirsi la restituzione di 10 milioni di dollari di debito italiano. Da allora, il costo è schizzato verso l´alto: oggi, per garantire quegli stessi 10 milioni di dollari, ce ne vogliono 174 mila. E´ possibile che gli investitori esteri non abbandonino l´Italia o che, nel caso, come si augura il ministro del Tesoro, Tremonti, le famiglie, vista la crisi in Borsa, prendano il loro posto nel portafoglio dei Bot. E´ un sentiero stretto: percorrerlo consentirebbe all´Italia di cogliere l´occasione che la crisi del credito fornisce. Angelo Baglioni e Luca Colombo hanno calcolato, per Lavoce. info, che la riduzione dei tassi avviata dalle banche centrali consentirebbe all´Italia di risparmiare quasi 4 miliardi di euro in interessi sul debito pubblico. Lo spread con il Bund, infatti, è aumentato, ma, in termini assoluti, l´interesse pagato sui Bot italiani è sceso, anche se meno di quello tedesco. Il calcolo è stato fatto prima dell´ultimo taglio di 0,75 punti della Bce. Il risparmio sull´onere per interessi, nel 2009, potrebbe essere, ora, di 5-6 miliardi di euro. Naturalmente, se il Tesoro non sarà costretto ad inseguire gli investitori con rendimenti più alti, invece che più bassi.