Sandro Modeo, Corriere della Sera 5/12/2008, 5 dicembre 2008
Il 28 febbraio 2011 – alla scadenza dei 25 anni utili per l’indagine – lo «strano caso » dell’omicidio del premier svedese Olof Palme verrà probabilmente liquidato per prescrizione
Il 28 febbraio 2011 – alla scadenza dei 25 anni utili per l’indagine – lo «strano caso » dell’omicidio del premier svedese Olof Palme verrà probabilmente liquidato per prescrizione. Così, i tanti volti virtuali di un killer ignoto e quello del grande statista’ a lungo tagliuzzati dalle tante piste investigative scartate, ogni pista un colpo di forbice – si troverebbero mescolati in un fitto sfarfallìo di frammenti senza nesso, e verrebbero per sempre inghiottiti in un gorgo di oblio, in un vortice da doccia di Psycho. Con il suo nuovo libro ( In caduta libera come in un sogno), il criminologo-scrittore Leif GW Persson conclude una poderosa trilogia giallo-noir sulla Svezia degli anni Settanta e Ottanta; ma nello stesso tempo – consegnandoci una narrazione leggibile anche autonomamente – cerca di opporsi a questa imminente liquidazione. Per molti anni consulente del ministero della Giustizia e dei servizi segreti, e in quanto tale autorizzato a visionare le carte secretate sull’omicidio Palme, Persson avrebbe potuto scrivere una semplice controinchiesta, magari meno velleitaria delle tante già apparse. Ma l’opzione della fiction gli è più congeniale in quanto gli permette sia di formulare una nuova pista (o meglio, di rivitalizzarne una rimossa) proiettandola come un cono d’ombra ipotetico, anche se surrogata da tante piccole acquisizioni fattuali; sia di distendere quel cono d’ombra come il contrappunto di un’epoca e di un Paese in cui non tutti remavano nella direzione del premier, cioè di una società trasparente, pacifista e solidale. Prima di entrare nell’ipotesi-Persson, è necessario tornare alle tipologie di piste via via sfociate in zone morte, ricordando come il killer (dopo aver ucciso Palme e ferito sua moglie, alle 23.20, nel pieno centro di Stoccolma) abbia potuto smaterializzarsi anche grazie a tardivi posti di blocco e a una complessiva imperizia degli inquirenti. C’è la tipologia degli psicopatici estremisti di destra: soggetti come Viktor Gunnarsson e soprattutto Christer Pettersson, condannato all’ergastolo in primo grado, assolto in appello per insufficienza di prove e reo confesso (come molti altri mitomani) solo poco prima della morte, nel 2004. E c’è la tipologia, fantasmagorica, delle varie sottopiste internazionali, risultate tutte più o meno «carenti»: quella di un gruppo eversivo di sinistra legato alla Baader-Meinhof; quella del Pkk curdo (a lungo cavalcata dal responsabile delle indagini Hans Holmér, poi sostituito perché inadeguato); quella del regime sudafricano teso a colpire la politica anti-apartheid di Palme; quella dei servizi segreti cileni; quella del terrorismo croato; e, per quanto riguarda l’Italia, quella della P2 (anzi P7) di Gelli, ricondotta da una famosa inchiesta di Ennio Remondino per il Tg1 alla partecipazione di un «corpo separato» della Cia. Ci sono, poi, due piste particolari e più consistenti. La prima riguarda le forniture d’armi dell’industria svedese Bofors-Nobel sia a Teheran (nella guerra Iran-Iraq) sia all’India, attraverso tangenti versate al leader indiano Rajiv Gandhi, amico di Palme: per alcune fonti Palme sarebbe venuto a conoscenza di tali «movimenti» proprio la mattina del giorno dell’omicidio, e la sua eliminazione sarebbe stata programmata da tempo nel caso in cui «fosse venuto a sapere». La seconda pista – a lungo trascurata in un Paese che ha avuto pochissimi omicidi politici – è la cosiddetta «pista interna» alla polizia o meglio alla Sapo, i servizi di sicurezza svedesi. questa la pista ripresa e rilanciata da Persson, attraverso una progressione insinuante di cui è bene distinguere – per chiarezza del lettore – i vari piani magistralmente «montati»: quello di pura fiction (col capo della polizia nazionale Lars Martin Johansson e i suoi collaboratori che riaprono il dossier Palme); quello puramente documentario (con una stringente ricostruzione geometrica dei movimenti del killer nella tortuosa scacchiera notturna del centro di Stoccolma e una disamina delle lacune investigative e delle incongruenze dei testimoni); e quello della trasposizione- trasfigurazione narrativa della nuova ipotesi maturata dall’acquisizione, se non di nuove «prove», almeno di nuovi «fatti». Da un certo punto in poi, in particolare, il secondo e il terzo piano convergono in un fugato angoscioso e precipite verso l’implicazione ultima di tale ipotesi. Persson comincia approfondendo alcuni passaggi conosciuti, come il fatto che Palme il 28 febbraio è privo di scorta già da mezzogiorno (circostanza nota a non più di 50 persone, tra cui qualche talpa) o la mancata perizia sulle tracce nella neve intorno al luogo dell’omicidio, soffocato da torme di poliziotti e civili. Quindi, collegando i trattini di diversi micro- indizi (la multa sparita di un’auto in divieto di sosta tra le 2.000 comminate in quella giornata e il tortuoso iter di un’arma sottratta alla scientifica e poi riconsegnata e risottratta con la complicità di un funzionario compiacente) fa emergere per graduale consistenza, come da un fondale marino, le fisionomie – velate sotto ovvi pseudonimi – di due ex membri della Sapo responsabili dell’omicidio: Claes Waltin (l’ex dirigente che avrebbe procurato proprio l’arma in questione, un revolver Ruger, e non una Smith & Wesson, come si è a lungo creduto) e l’ex membro delle scorte Kjell Goran Hedberg, il killer freddo e anaffettivo. E per finire – in un segmento fatalmente più ambiguo, dove sospetto e invenzione sfumano l’uno nell’altra – ipotizza la blindatura del caso in una matrioska di omicidi spostata in Spagna, a Palma di Majorca, con Hedberg che elimina Waltin, ed Hedberg a sua volta eliminato dal suo angelo custode alla Sapo. Il tutto, in definitiva, sigillerebbe un omicidio da ragion di Stato congegnato ed eseguito in un ambito avverso al premier e da tempo orientato a giustiziarlo. Non importa, infatti, se il sadico e amorale Waltin sia effettivamente nato lo stesso giorno e mese di Hitler (20 aprile) e se suo padre abbia effettivamente bollato Palme come «traditore della patria» asservito ai sovietici: la matrice neonazista e duramente anticomunista di un settore della Sapo è ampiamente documentata. Così come tutte le fonti documentarie confermano il serpeggiare di un disegno eversivo e radicale contro il premier da parte di componenti deviate, ideologicamente contigue a quella parte del Paese stanca sia di una politica interna troppo statalista (fisco oppressivo e Welfare oneroso) sia di una politica estera improntata a un neutralismo femmineo (Palme avrebbe dovuto incontrare a breve Gorbaciov in un’ottica di disarmo bilaterale). Alla fine, lo scacco del commissario Johansson – che si dimetterà davanti a una verità paralizzante e incomunicabile, e sognerà una notte, come nel titolo del libro, di cadere in un’oscurità senza fondo – coincide con quello del lettore solo nella condivisione della resa impotente: per noi, infatti, la pista di Persson, per quanto ferrea e sottile insieme, rimane un’ipotesi, e come tale a rischio di finire nel cestino del cospirazionismo, la cui alternativa, non dimentichiamolo, non è la verità, ma un silenzio inviolabile e definitivo. L’unico elemento certo è la funzionalità dell’eliminazione di Palme a tutti (o quasi) i possibili mandanti delle piste esaminate: anche se, come in altri casi, la soppressione dell’interprete non si può estendere alla «visione del mondo» che lo anima (nella fattispecie, una socialdemocrazia tutt’altro che anacronistica). Il 25 febbraio 1986, tre giorni prima dell’omicidio, Licio Gelli avrebbe inviato al senatore del Congresso americano Philip Guarino un telegramma profetico: «L’albero svedese sarà abbattuto». Dopo i funerali dello statista, sulla sinistra di una grande lapide in roccia chiara con nome e cognome di Palme riprodotti con la sua grafia, viene piantato un piccolo albero, a ricordare una vita e un’idea che continuano. Oggi, quell’albero, sarà già alto verso il cielo.