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 2008  dicembre 05 Venerdì calendario

Quando Marco Cassini e Daniele di Gennaro cominciano la loro avventura editoriale sono due ragazzi. Cominciano in piccolo, diciamo al minimo: distribuendo una rivistina letteraria via fax formato A4

Quando Marco Cassini e Daniele di Gennaro cominciano la loro avventura editoriale sono due ragazzi. Cominciano in piccolo, diciamo al minimo: distribuendo una rivistina letteraria via fax formato A4. Al Salone del Libro del ’93 ne parlano tutti. I nostri eroi non potevano immaginare che quindici anni dopo, nel 2008, saremmo stati qui a celebrare una vera e propria casa editrice. Esempio di come, anche in un Paese sommerso da crisi politiche ed economiche (il ’93, va da sé, non è un anno felice), la fantasia, la curiosità e l’intraprendenza di due studentelli sostanzialmente al verde siano riusciti a imporsi con allegria costruendo un’impresa piccola (minima) ma solida. Una storia particolare. Cassini: «Abbiamo cominciato davvero senza un soldo, all’inizio pensavamo che sarebbe rimasto un hobby, ma dopo un paio d’anni ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: è ora di cominciare a fare sul serio». Daniele è seduto su una grossa sedia nera da manager, palesemente inadeguata al contesto: scrivania zeppa di tutto, un manifesto di Miles Davis appeso alla sua sinistra, pacchi di libri per terra, alle pareti copertine, fumetti, ritagli di recensioni e interviste. Il tutto in una vecchia mansarda romana, Ponte Milvio, al primo piano di un piccolo edificio con cortile. Di Gennaro: «I nostri ingredienti sono incoscienza ed entusiasmo». Con entusiasmo e incoscienza Marco & Daniele lavorano in un locale sulla Cassia messo a disposizione dai genitori, ma già vendono idee, organizzano concerti, reading, eventi teatrali, campagne pubblicitarie, conferenze, spettacoli, di tutto. Un sacco di cose senza una vera struttura alle spalle. Cassini: «Abbiamo cominciato a pubblicare i libri che ci piacevano senza sapere niente della distribuzione, dell’editing, della stampa...». Cassini e di Gennaro si conoscono in un corso di scrittura che Marco aveva messo in piedi nel pub di suo fratello, in Trastevere. Gli insegnanti sono scrittori ben noti: Maraini, La Capria, Starnone, Lodoli, Frabotta e altri. Gli allievi sarebbero diventati scrittori noti qualche anno dopo: Francesco Piccolo e Antonio Pascale, per esempio. Di Gennaro: «Eravamo due fuggiaschi da Giurisprudenza, forse il fatto di non aver frequentato Lettere ci ha evitato il rischio del rispetto sacrale per l’editoria e per la letteratura». Ora parlano del loro «Paese dei Balocchi» e di un gioco di squadra cui partecipano, oltre a un gruppo ben nutrito di traduttori, di consulenti e di autori, anche dodici dipendenti, tra redattori e altri impiegati, regolarmente assunti (età compresa tra i 28 e i 41 anni). Regolarmente assunti ben sottolineato. Tutto prodotto in casa: trenta titoli l’anno, più una libreria in Trastevere e l’attività dell’Associazione che continua a inventare eventi, reading, documentari video. Parlano anche di: cura dei dettagli e impegno sulla visibilità. Che per i libri significa redazione impeccabile e grafica inconfondibile. Di Gennaro: «Agli inizi fu una spontanea corsa solidale di amici che ci diedero una mano». Tra questi, un tipografo che nel ’94 stampa, senza coperture, i primi due titoli, che verranno distribuiti solo nel Lazio. Sono due libri di riflessione sulla scrittura, un filone che piace molto a Marco & Daniele e che andrà a confluire in due collane che ospiteranno, tra l’altro, le storiche interviste della «Paris- Review». Intanto arrivano gli sponsor: nel ’93 la Telecom finanzia lo Scrittour, che con un furgone Ducato preso in affitto prevede una decina di tappe nelle grandi città fino alla Fiera di Torino. Ogni tappa un incontro con il pubblico, letture e spettacoli: libri, cinema, teatro, musica, grafica sono sempre stati una sola cosa, per minimum fax. Per Daniele, Marco è «il monomaniaco del refuso ». Refusi è infatti il titolo del recente libro di Cassini (Laterza), diario di un anno da piccolo editore. Per Marco, Daniele è «il monomaniaco dell’organizzazione e dell’evento». Da allora le cose sono molto cambiate: i due «monomaniaci» in quindici anni hanno messo su un catalogo di 400 titoli e qualche riconoscimento ufficiale, tra cui il prossimo Premio Tarquinia Cardarelli per la Piccola e media Editoria. L’anno della svolta è in realtà il ’97, quando vengono acquisiti i diritti di Raymond Carver. Cassini: «Avevamo una ventina di titoli in catalogo tra cui le poesie di Carver e una miscellanea di suoi racconti. Andammo all’asta con pochissime speranze, senza avere una lira. Sapevamo che l’Einaudi avrebbe partecipato. Con l’agente fummo molto onesti: Einaudi è migliore ma ha tanti autori, da noi Carver diventerebbe il più importante, con una collana tutta per sé. Era il nostro scrittore preferito. Come due giocatori di poker, offrimmo 25 mila dollari per quattro libri di racconti con l’impegno di far ritradurre tutto da Francesco Duranti. Gettammo il cuore oltre l’ostacolo». Il rischio fu premiato. Il Carver di minimum fax ha venduto sulle 200 mila copie. Ora, scaduti i diritti, l’agente più esigente del mondo, Andrew Wylie, ha deciso di preferire Einaudi: «Non ci hanno neanche fatto partecipare all’asta». Bella riconoscenza... Di Gennaro: «Non ci scoraggiamo certo. Con gli autori scaduti presso i grandi editori, si possono costruire intere case editrici». Detto fatto. Marco & Daniele si sono aggiudicati i libri di un eterno incompreso: Bernard Malamud. Senza dire degli italiani che hanno lanciato, alcuni dei quali poi passati ad altri lidi: Piccolo, Pascale, Parrella, Raimo, Lagioia, D’Amicis... Per fortuna ci sono anche passaggi al contrario, come quello di Giuseppe Genna, approdato qui con Italia De Profundis, dopo esperienze diverse. O ritorni estemporanei: Antonio Pascale. O piccole fughe: Gianni Mura e Domenico Starnone. O arrivi insperati: i saggi di Zadie Smith. Non è soltanto comprensibile gusto dello sberleffo verso la miopia dei colossi. C’è dietro una vera strategia, che di Gennaro illustra così: «Bisogna ascoltare il lettore, che attraverso il forum del sito, ci fa sentire il fiato sul collo: una comunità intelligente che spesso ne sa più di te. L’editore non dispensa più cultura dall’alto per salvare tutti dal peccato originale dell’ignoranza». Cassini riassume il tutto in una parola d’ordine operativa: «Perso Carver, se ne fa un altro». Un esempio: Richard Yates è uno scrittore americano morto nel 2001 e dimenticato dai più. Qualche anno fa minimum fax ha tradotto il romanzo Rivolutionary Road senza sapere che Sam Mendes ne avrebbe tratto un film con la coppia Di Caprio-Winslet, nelle sale tra un mese (verrà ristampato in 40 mila copie!). Ma la lista delle scoperte o dei recuperi anglo- americani sarebbe lunga: John Barth, Walter Tevis, Stanley Elkin, Rick Moody, Jonathan Lethem. E, dulcis in fundo, David Foster Wallace. Cassini e di Gennaro, in alternanza: «L’idiosincrasia tutta italiana per i racconti ci ha permesso di avere campo libero con lui come per altri scrittori: noi siamo la prova vivente che i racconti si possono vendere. Wallace aveva già pubblicato quattro o cinque libri negli Stati Uniti e in Italia non se lo filava nessuno». Accade che il rischio dei piccoli editori che fanno ricerca fa muovere anche i colossi. Cassini: « successo, negli ultimi anni, che le grandi case editrici hanno cominciato a travestirsi da piccole: vedi Stile Libero dentro Einaudi, Strade Blu dentro Mondadori, Isbn dentro Il Saggiatore». Insomma se nel ’97 poteva succedere che i racconti di David Foster Wallace venissero acquistati da minimum fax per 500 mila lire, oggi sarebbe impensabile. E non solo perché Wallace nel frattempo è diventato un cult: « triste che dopo il suicidio i suoi libri si vendano di più. Ora sappiamo tutto del suo percorso depressivo che gli è costato trent’anni di psicofarmaci... Aveva un tratto di gentilezza e disponibilità unito a insicurezza e paranoia. Quando la traduttrice Martina Testa, che oggi è il nostro direttore editoriale, gli chiedeva chiarimenti su alcuni punti, lui rispondeva con interminabili lettere che finivano sempre dicendo che forse non valeva la pena pubblicarlo». Daniele di Gennaro