Stefania Tamburello, Corriere della Sera 5/12/2008, 5 dicembre 2008
ROMA – A
guardare i dati sugli investimenti delle famiglie italiane, i titoli di Stato sono da qualche mese diventati il classico bene rifugio. Il Bot, dopo anni di ombra, è tornato ad essere, complice la crisi finanziaria, l’approdo dei risparmiatori, secondo solo al conto corrente. Nessuno quindi tra gli operatori e gli esperti teme un ripensamento a breve: a dicembre le aste dei titoli di Stato, dicono, faranno il pienone. E il Tesoro ne approfitterà per mettere in cassa risorse in vista di un inizio 2009 che si prevede più problematico sia perché la crisi economica morderà di più sia perché sui mercati la concorrenza tra titoli e obbligazioni si farà più tesa e si combatterà a suon di tassi e rendimenti. Questo dicembre sarà dunque ricco di emissioni, in contrasto con quanto è avvenuto negli anni scorsi quando gli appuntamenti con le aste venivano cancellati dal calendario perché non necessari. Anche quest’anno non lo sarebbero se si guarda alle esigenze del bilancio. Ma evidentemente il ministro dell’Economia vuole portarsi avanti nella raccolta di fondi per finanziare gli interventi già programmati, primi fra tutti quelli a sostegno del capitale delle banche, con la sottoscrizione di obbligazioni convertibili a riscatto, e a supporto di garanzia delle emissioni degli stessi istituti creditizi. Così tra metà e fine dicembre, la responsabile del debito pubblico, Maria Cannata, ha «piazzato» un’asta Bot di 3 e 12 mesi (il 10 dicembre) un’asta di Btp a 10 anni (12 dicembre) una di Bot a 6 mesi e di Ctz (29 dicembre) mentre chiuderà il 30 un’asta di Btp a 3 e 10 anni e di Cct a 7 anni: l’intera gamma di titoli. Da qui al prossimo settembre, scadranno però titoli per oltre 213 miliardi (compresi quelli in valuta estera) di cui più della metà a medio e lungo termine e per il futuro le cose potrebbero essere meno semplici. Anche, come si è detto, per il prevedibile affollamento sui mercati di titoli pubblici e obbligazioni garantite, frutto delle varie operazioni di governi e banche per contrastare la crisi finanziaria. I titoli pubblici italiani, a causa dell’alto debito pubblico in rapporto al Pil, hanno un rating di semplice A e non avranno la vita facile tra i tanti con AAA: dovranno pagare un premio più alto per affermarsi. «Facendo i calcoli paghiamo un punto più di Pil rispetto agli altri paesi, circa 15 miliardi l’anno in più, per finanziare il debito» ha detto solo pochi giorni fa il premier Silvio Berlusconi. Diversamente da altri paesi che hanno il debito più basso e quindi pagano meno sui titoli: basta vedere il differenziale tra i Btp decennali e i Bund tedeschi che ha raggiunto ieri il record di 140 punti base che significa pagare l’1,40% in più di tasso di interesse. E questo vale anche per le banche che dovessero utilizzare la garanzia pubblica per rinnovare le emissioni in scadenza.
Banca d’Italia, Consob e Isvap ieri hanno comunque ribadito la «sostanziale solidità del sistema bancario e assicurativo italiano e la sua capacità di fare fronte alla crisi finanziaria in atto» come si legge nel comunicato diffuso al termine del comitato per la stabilità finanziaria riunito da Tremonti. Il quale ha anche chiesto all’istituto di via Nazionale, rappresentato ieri dal direttore generale Fabrizio Saccomani (il governatore Mario Draghi era a Bruxelles per la Bce) i dati sul credito alle imprese per capire «se c’è stata una stretta o meno». A proposito della sottoscrizione di Bond bancari il comitato ha rilevato che si seguiranno gli orientamenti dell’Europa che deciderà, secondo quanto ha indicato l’Ecofin, prima del Consiglio dell’11 dicembre.
Stefania Tamburello