Internazionale 28nov-4dic, Corriere della Sera 20 novembre, Riformista 4 dicembre, Asia Times Online 22 novembre, 4 dicembre 2008
SOMALIA
Il golfo di Aden, che si apre tra la costa somala e lo Yemen e porta più di 16mila navi ogni anno dal canale di Suez all’Oceano Indiano, ha visto quest’anno più di 30 atti di pirateria. I pirati hanno attualmente sotto sequestro diciassette navi, tra cui, dallo scorso 15 dicembre, la petroliera saudita Sirius Star con i suoi 100 milioni di dollari di greggio. L’operazione condotta contro una nave tanto imponente e in alto mare dimostra che i pirati sono in grado di organizzare una flotta di numerose imbarcazioni, attrezzate con gli strumenti di navigazione più sofisticati. La parola "pirateria" appare impropria a chi fa notare che, in analogia ai banditi che sulla terraferma rapiscono gli operatori umanitari e i giornalisti occidentali, questi pirati sono interessati solo al riscatto che possono ricavare dalle loro operazioni, e a nessun’altro bottino. I gruppi di pirati, che hanno le loro basi sulla costa somala, appaiono inoltre agire indipendentemente gli uni dagli altri e dalla politica; anzi sono essi a finanziare a loro piacimento i politici che si prestano a non disturbare la loro attività. La pirateria somala è fiorita grazie alla instabilità politica e all’assenza dello stato, che hanno spinto i pescatori indigenti ad arruolarsi in queste ciurme. Essa è stata inoltre una reazione alla pesca di frodo da parte specialmente di cinesi e giapponesi che, nella inerzia della comunità internazionale refrattaria a imporre un regime giuridico su questo tratto di mare, ne ha saccheggiato le risorse ittiche.
Altro motivo di grave preoccupazione è il legame dei pirati con gli insorti islamisti che adesso cingono d’assedio Mogadiscio. Gli esperti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu si dicono certi che i riscatti dei pirati hanno comprato le armi degli insorti, ma quella tra pirati e islamisti sembra essere una alleanza provvisoria e di convenienza contro un comune nemico, il governo, e non una intesa ideologica.
Nelle acque del golfo di Aden sono ora di pattuglia quattro navi della Nato, e anche l’Unione Europea ha annunciato l’invio di una sua missione per l’8 dicembre. A metà del mese scorso, una nave militare indiana ha affondato una "nave madre" da cui i pirati lanciavano imbarcazioni più agili all’arrembaggio. Nonostante l’intervento dei governi civili, il commercio è insicuro e la Maersk, la maggiore compagnia di trasporti marittimi che opera nella zona, ha cambiato la rotta delle sue petroliere.
La reazione delle potenze all’emergenza della pirateria somala si mantiene finora al di fuori di un mandato unitario Onu, che coinvolgerebbe anche gli stati litoranei africani nelle trattative, e in quella che può sembrare una competizione per il controllo delle rotte commerciali verso l’Oceano Indiano.
Gli Stati Uniti hanno per la prima volta creato un comando regionale per l’Africa, l’Africom, che avrà due delle sue basi a Napoli e a Vicenza in base ad accordi conclusi il 3 dicembre dal ministro Frattini. La Russia si muove per riaprire la base navale che aveva ad Aden quando era Unione Sovietica. L’India ha ottenuto una base a Oman, posizione strategica sul Golfo Persico, e anche in Giappone si è aperta la discussione sull’opportunità di mandare la flotta militare a difesa delle navi commerciali di passaggio nel golfo. Sembra solo una questione di tempo che anche la Cina si affacci nella vicenda.