Aldo Grasso, Corriere della Sera 4/12/2008, 4 dicembre 2008
Sei documentari di Mimmo Lombezzi per raccontare storie di dolore e speranza, di disperazione e riscatto, di devastazione e normalità della devastazione
Sei documentari di Mimmo Lombezzi per raccontare storie di dolore e speranza, di disperazione e riscatto, di devastazione e normalità della devastazione. Storie di confine è un viaggio che parte dalle foreste del Brasile per approdare al territorio del Sudan, alle baraccopoli di Santo Domingo alla guerra civile del Congo e poi Sudan, Thailandia e Uganda (Retequattro, martedì, ore 23,50). Il racconto si modella sull’inchiesta giornalistica vecchia maniera: il giornalista va sul posto, documenta ciò che vede, interroga persone, si chiede perché le cose siano degradate a tal punto, cerca una briciola di fiducia nel domani, se c’è, quando c’è. E soprattutto traduce questa discesa negli inferi in un linguaggio coerente, forte, asciutto. Lombezzi ha incontrato persone (non pochi italiani) che hanno deciso di fare una scelta di vita radicale, spendendo le proprie vite per il prossimo, dedicandosi agli ultimi. I reportages sono realizzati in collaborazione con Mediafriends, onlus creata da Mediaset, Medusa e Mondadori: «Per noi è l’occasione di mostrare come stiamo utilizzando i soldi raccolti – ha detto Massimo Ciampa, segretario generale Mediafriends ”, in cinque anni abbiamo raggiunto i 35 milioni di euro, scegliendo poi, tra i tanti progetti che ci sono stati proposti, quali sostenere ». Alla presentazione dei sei documentari, Mauro Crippa, direttore generale dell’Informazione Mediaset, ha parlato di «giornalismo d’autore» e Giuseppe Feyles, direttore di rete, ha definito Storie di confine «un prodotto ineccepibile, come ormai se ne vedono pochi sulla tv generalista». vero. Resta da capire perché, di fronte a tanti elogi, il programma vada in onda all’una di notte (scarsa fiducia nei propri ascoltatori o imperialismo dell’audience?) e replicato la domenica mattina, in versione edulcorata. Tender is the night, anche per gli incubi sociali che inaspettatamente ci piombano addosso.