Sergio Romano, Corriere della Sera 3/12/2008, 3 dicembre 2008
Sono un giovane appassionato di politica internazionale e seguo sempre, con particolare attenzione, la politica estera americana e l’attività diplomatica della Santa Sede
Sono un giovane appassionato di politica internazionale e seguo sempre, con particolare attenzione, la politica estera americana e l’attività diplomatica della Santa Sede. Vorrei a questo proposito avere un suo parere su come potranno cambiare, in seguito all’elezione di Barack Obama (cristiano? musulmano?), i rapporti tra Stati Uniti e Santa Sede. Fabrizio Anselmo fabrizioa@libero.it Caro Anselmo, A lla sua domanda ha già risposto, almeno in parte, Massimo Franco sul Corriere del 5 novembre. Franco ha ricordato che l’invasione dell’Iraq fu fortemente criticata da Giovanni Paolo II e che la guerra ha avuto per effetto, tra l’altro, le persecuzioni di cui sono state vittime negli scorsi anni le minoranze cristiane del Paese. Ma nonostante questi dissapori iniziali, «fra Bush e Benedetto XVI si è consolidata una comunanza di vedute sulle questioni etiche, che alla fine aveva segnato anche i rapporti con Giovanni Paolo II: sintonia confermata dal via vai di Bush a Roma e dalla visita alla Casa Bianca del Papa in aprile ». Secondo Franco, la Santa Sede, insomma, avrebbe dato una prova di «realpolitik ». vero, e non credo che il Vaticano avrebbe potuto comportarsi diversamente. Per almeno due motivi. In primo luogo la presenza del cattolicesimo negli Stati Uniti è divenuta negli ultimi decenni, grazie all’immigrazione dei latino-americani, sempre più importante. Il grande incontro di Benedetto XVI con il cattolicesimo americano a Madison Square Garden di New York, durante la visita negli Stati Uniti della scorsa primavera, è stato un evento «ispanico ». Accanto alle vecchie comunità cattoliche (gli irlandesi, gli italiani, i polacchi), ormai perfettamente integrate nel tessuto sociale americano, è apparso un gruppo nuovo, molto numeroso e devoto, ma esposto all’aggressivo proselitismo delle confessioni protestanti e bisognoso di assistenza spirituale. La Chiesa può dissentire della politica estera della Casa Bianca, ma non può permettersi di pregiudicare con le sue critiche la propria presenza negli Stati Uniti. In secondo luogo la Casa Bianca, durante la presidenza Bush, ha adottato su alcune questioni morali controverse (aborto, cellule staminali) una linea molto simile a quella della Santa Sede. Non credo che a Benedetto XVI piaccia il movimento evangelico dei «born again» (i rinati), a cui George W. Bush appartiene dopo i trascorsi alcolici della sua gioventù. Ma non può ignorare che una parte del clero cattolico americano ha stretto in questi anni un’alleanza di fatto con le sette protestanti più intransigenti. Fra la Santa Sede e la Casa Bianca di Bush vi è stato quindi un patto di reciproca convenienza. Bush riconosceva l’autorità spirituale della Chiesa cattolica nel mondo e la Santa Sede, a sua volta, constatava con soddisfazione che le convergenze, nelle questioni morali, erano maggiori delle divergenze. Oggi il quadro sta per cambiare. La politica estera di Obama potrebbe essere meno unilaterale e interventista di quella di Bush. Ma la sua posizione sulle questioni d’ordine morale sarà probabilmente più «relativista ». In un articolo pubblicato da Liberal (il quotidiano diretto da Renzo Foa), un intellettuale cattolico americano, Michael Novak, ha scritto di avere due preoccupazioni. La prima è rappresentata dalla linea «abortista» che Obama ha sostenuto al Senato in questi ultimi anni; la seconda dal timore che il nuovo presidente nomini alla Corte Suprema «giudici di estrema sinistra favorevoli all’aborto». La Santa Sede ha probabilmente le stesse preoccupazioni.