Massimo Gaggi, Corriere della Sera 3/12/2008, 3 dicembre 2008
NEW YORK
Provaci ancora, Rick. Il capo di Gm Richard Wagoner si autoriduce lo stipendio a un dollaro, vende i jet aziendali e con i colleghi di Ford e Chrysler torna al Congresso per chiedere aiuti pubblici. Una richiesta, peraltro, già bocciata dalle Camere un paio di settimane fa. Allora i tre top manager avevano fatto infuriare i parlamentari e avevano deluso il presidente eletto Barack Obama che, pure, vorrebbe aiutare i gruppi di Detroit: erano arrivati a bordo dei loro jet aziendali senza uno straccio di piano o, almeno, la promessa di cambiare rotta. Solo la richiesta di finanziamenti pubblici minacciando, in caso contrario, una bancarotta disastrosa con onde sismiche destinate a raggiungere tutti gli angoli del sistema economico. Stavolta Wagoner e il capo di Ford Mulally si sono fatti precedere dalla notizia dell’autoriduzione del loro stipendio (ma soltanto se arriveranno i soldi pubblici).
Ford e Gm hanno poi comunicato che venderanno gli aerei fin qui usati dal top management e i capi delle due società stanno andando da Detroit a Washington a bordo di veicoli ibridi prodotti nei loro stabilimenti. Mulally è già partito a bordo di una Ford Escape, una jeep «risparmiosa». Un viaggio che potrebbe diventare una specie di happening: alla carovana forse si uniranno anche gli industriali della componentistica, anche loro alla ricerca di un salvataggio pubblico. Stavolta, poi, le tre Case di Detroit hanno fatto i «compiti a casa »: hanno preparato piani più o meno dettagliati di riconversione «verde» della loro attività. Per anni Gm, Ford e Chrysler si sono rifiutate di cambiare radicalmente la loro gamma di prodotti. Ora si cambia, e non solo per attenuare l’ostilità del contribuente americano, chiamato a pagare per anni di errori manageriali: la grandinata dei dati negativi delle vendite rende ormai evidente a tutti che andare avanti con l’attuale gamma di modelli sarebbe suicida. Dopo i crolli di ottobre, i dati di novembre, resi noti ieri, hanno confermato che il settore è entrato in una spirale spaventosa: a uscirne meglio è la Ford, le cui vendite sono calate «solo» del 31%, meno della «regina» del mercato, la Toyota, la cui flessione è stata del 34%. Molto più gravi i cali delle altre due società di Detroit: General Motors ha perso il 41%, mentre Chrysler ha quasi dimezzato le vendite (meno 47%).
Nel suo piano Ford dice di stare meglio delle altre due case americane: potrebbe anche farcela senza contributi pubblici, ma chiede comunque una linea di credito di 9 miliardi di dollari per sostenere gli investimenti nel risparmio energetico. Ford si dice interessata al salvataggio dei suoi concorrenti Usa perché il fallimento di Gm o di Chrysler potrebbe tirare a fondo l’intero settore dell’auto, che è fortemente interconnesso (i fornitori di componenti, ad esempio, sono gli stessi per tutti). General Motors, a sua volta, chiede 18 miliardi e una linea di credito immediata di altri 4 miliardi da attivare se questo difficilissimo momento del mercato dovesse continuare a lungo. Quanto ai marchi – troppi, soprattutto con un mercato che si è così ristretto – Gm intende concentrarsi su Chevrolet e Cadillac. Quanto a Buick, Pontiac e Gmc, verrebbero riorganizzati in una sola unità produttiva. Per Saturn e Saab non è esclusa la cessione.
Ieri sera il leader democratico Nancy Pelosi ha promesso che stavolta il Congresso aiuterà l’auto, ma ha aggiunto che i piani di Ford e Gm verranno inviati alla Federal Reserve e al «budget office» del Parlamento per essere passati ai raggi X.