Gabriele Beccaria, La Stampa 3/12/2008, 3 dicembre 2008
GABRIELE BECCARIA PER LA STAMPA DI MERCOLEDì 3 DICEMBRE 2008
Neanche stavolta vi darà tregua. Chi conserva un ricordo di «Gödel, Escher e Bach» avrà un sobbalzo, prendendo tra le mani «Anelli nell’io».
Douglas Hofstadter è tornato e il suo nuovo saggio riporta in scena il fantasma di Gödel e cita ancora le sinfonie di Bach e le prospettive spiazzanti di Escher, ma aggiunge il peso di quasi un trentennio di pensieri, intuizioni, scoperte, provocazioni. I capitoli sono brevi e tuttavia di illusoria stringatezza, come i tratti di un labirinto classico, in cui, fatto qualche passo, si deve svoltare a 90° a destra o a sinistra. Dopo un po’ di pagine il primo pensiero è che Hofstadter stia allargando a dismisura i confini del racconto, intrecciando tutto quanto può servire, come fisica, paradossi logici, neuroscienze, matematica: vuole spiegarci - nientemeno - che cos’è la coscienza. Siamo noi a comandare i miliardi di particelle che ci compongono o sono loro a determinarci, annullando qualsiasi pretesa di libertà? L’autore la mette così: «Come si determina esattamente quante cucchiaiate di Coscienza si attaccano a una certa entità fisica? Dove sono immagazzinate nel frattempo queste cucchiaiate? In altre parole dov’è la Banca Centrale della Coscienza?».
Ora è in Italia e si fa inseguire volentieri da questa spaventosa domanda, a cui replica in italiano (una delle innumerevoli lingue che parla perfettamente). D’altra parte, è troppo forte la tentazione di provocare lui, che ha viaggiato in lungo e in largo per 500 pagine, costringendolo a una definizione sintetica, che soddisfi il bisogno primario di capire.
«La coscienza? Quando un organismo, anche un animale, oppure una macchina, come un robot, è in grado di riflettere in sé il mondo esterno e di creare modelli in funzione dei comportamenti, allora diventa qualcosa di sufficientemente complicato: percepisce non solo il proprio corpo, ma ha ricordi di ciò che ha fatto, elabora un senso di sé, della sua natura, dei suoi scopi. Anche del suo senso dell’umorismo o della sua mancanza! Quando comincia a fare queste cose - spiega Hofstadter - si ha finalmente di fronte un insieme di autorappresentazioni: è un ciclo di processi in cui ci si autopercepisce».
Ecco una prima descrizione della coscienza come «loop», l’insieme di anelli che scivolano gli uni sugli altri e che continuamente emergono e si inabissano lungo il libro. A muoverli è un principio dalla complicazione estrema (ispirato alle vertigini dei Teoremi di incompletezza di Kurt Gödel, il maggiore logico del XX secolo) e allo stesso tempo cangiante: se non fosse complesso, non potrebbe generare i lampi di cristallina e necessaria semplicità del quotidiano. «Non posso sapere tutto di me stesso: la rappresentazione di me è grezza e questa semplificazione è un cambiamento di prospettiva. Invece di cogliere le mie particelle o le mie cellule, parlo di realtà molto più astratte, come desideri e paure o gusti musicali».
Il labirinto di Hofstadter prevede che il lettore si scontri con l’«assoluto», assistendo al duello a distanza tra i fondamenti di Gödel e le certezze di Bertrand Russell, e rapidamente si rassicuri con la familiarità delle tempeste emozionali suscitate da uno spartito di Chopin. Ma il «sublime» e lo «standard» costituiscono fasi momentanee, in perenne alternanza: scivolano l’una nell’altra, trasformandosi, come impone la natura del «loop». E gli anelli - teorizza Hofstadter - sono così estesi da fuoriuscire dai limiti dell’io individuale.
La coscienza è tale, infatti, perché è capace di intrecciarsi con le altre. «Quando la rappresentazione di me supera una certa soglia, allora gli individui che mi circondano entrano nel mio cervello e io nel loro, a cominciare da chi mi è più caro. E’ la realtà dell’empatia». Che fa pensare a una nuvola in metamorfosi perenne. E non a caso Hofstadter sottolinea come il suo team di scienze cognitive all’Indiana University utilizzi i modelli computazionali per tentare di riprodurre il pensiero e lo fa in modo molto diverso da chi si occupa di un campo tanto controverso come l’Intelligenza Artificiale.
«Imitare la mente significa tenere conto degli errori e delle ambiguità di cui è ricca e della confusione che produce. Quando riusciremo a replicare tutto questo, avremo fatto un grande passo avanti. Ma chi si occupa di computer, in genere non fa affatto così. Pochi si interessano ai modelli che contengano in sé l’imperfezione. Nelle loro ricerche tecnologiche preferiscono la forza bruta: il computer che ha sconfitto Kasparov agli scacchi esplora miliardi di mosse, eppure non ha nulla a che vedere con la logica con cui un essere umano pensa. Per me, è una strada che non ha alcun interesse filosofico».
Ecco il motivo per cui «Anelli nell’io» è un saggio controcorrente, perfino «borderline», sia di scienza sia di filosofia. «Voglio che le mie idee siano corrette e, di conseguenza, non si può non parlare di scienza. Ma la coscienza è il territorio tradizionale della filosofia e, forse, solo tra 50 anni sapremo se questi concetti saranno confermati o confutati».
Se così non fosse, non si capirebbe perché l’impegnativo termine «anima» appaia così di frequente e in contesti imprevedibilmente variabili, come «aura effimera» o come «pattern», associata a una pulce e a un topo, come realtà che «si libra in cielo» e «vivente nei cervelli di altre anime». «Non volevo dare l’impressione che uno scienziato debba allontanarsi da una parola di questo tipo, sebbene non la usi in senso religioso: mi sembra giusto affrontare l’essenza di una persona».
Hofstadter ammette che le neuroscienze sono agli albori. «Possono vedere un punto determinato del cervello e localizzare l’accensione di un’area, ma è come se si guardasse un libro e si misurasse la lunghezza dei paragrafi. Nessuno ha ancora capito il contenuto del volume». La coscienza sfugge facilmente alle tecniche del «neuroimaging», mentre dà evidenti indizi di se stessa nella metafora del «loop» e nelle sue epifanie di carne e spirito.
Una di queste - rivela - ha a che fare con due personaggi celebri. «Che cosa potrebbe avere maggiormente a che fare con la coscienza e l’anima del fondersi con la spiritualità congiunta di Albert Schweitzer e J.S. Bach?». Chi vuole scoprire questa illuminazione, deve percorrere i nove decimi del labirinto o correre subito a pagina 421.
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