Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 30/11/08, 30 novembre 2008
di Alberto Negri Chi ha armato la mano dei terroristi di Mumbai? Le autorità indiane insistono sulla pista internazionale e pakistana: il commando è entrato in azione con un’azione militare da professionisti, che richiede preparazione e addestramento, un training che potrebbe essere stato impartito dalle organizzazioni militanti islamiche nelle basi del Kashmir o nelle aeree tribali al confine con l’Afghanistan
di Alberto Negri Chi ha armato la mano dei terroristi di Mumbai? Le autorità indiane insistono sulla pista internazionale e pakistana: il commando è entrato in azione con un’azione militare da professionisti, che richiede preparazione e addestramento, un training che potrebbe essere stato impartito dalle organizzazioni militanti islamiche nelle basi del Kashmir o nelle aeree tribali al confine con l’Afghanistan. Questo è lo scenario che vuole accreditare, con qualche giustificato fondamento, il Governo di Delhi. L’ipotesi peggiore per i politici al comando e l’intelligence sarebbe che i terroristi sono venuti anche da dentro, reclutati in quei settori della popolazione musulmana, 140 milioni, dove ha messo radici in anni recenti l’ideologia della Jihad, della guerra santa. Il terrorismo indiano potrebbe avere dunque due fronti, uno internazionale e l’altro interno. «Il fatto sorprendente non è tanto la comparsa in India di gruppi militanti con connessioni all’estero quanto il loro ritardo nell’emergere sulla scena rispetto al contesto nazionale e ai legami con gli eventi nella regione», dice Pankaj Mishra, 40 anni, scrittore e saggista indiano che ha esaminato in profondità i rapporti tra India e Pakistan, in un libro pubblicato anche in italiano, La tentazione dell’Occidente. «Non si può certo ignorare che esistono organizzazioni di mujaheddin islamici indiani come la Gujarat Muslim Revenge Force o l’Islamic Students Movements: i membri di questi gruppi sono sono persone istruite con lauree in economia, legge, chimica, informatica, ingegneria. La rabbia e il risentimento che li anima possono avere ragioni interne, legate ai pogrom impuniti contro i musulmani, ma a ispirarli ci sono anche eventi come la guerra in Afghanistan, Iraq e in Kashmir, che li collegano alle falangi pakistane della guerriglia come la Lashkar-e -Taiba, l’Esercito dei Puri». «Per molto tempo - sottolinea Mishra - i musulmani dell’India erano rimasti immuni dalle varie forme di radicalismo islamico. Quasi nessuno si era arruolato nella galassia della Jihad in Pakistan e Afghanistan che da oltre vent’anni, come un magnete, attira islamici da tutto il mondo. Con le nuove generazioni musulmane, meno legate alla società tradizionale, si è prodotta una rottura, in gran parte favorita dalla continua demonizzazione dei musulmani (ma anche di altre minoranze come i cristiani) da parte dei nazionalisti radicali hindu. L’ala oltranzista dell’induismo, preoccupata dalla tenuta sociale del sistema delle caste, tenta sempre di definire l’identità hindu in contrasto con quella di altre comunità: è abbastanza facile prevedere che gli attentati di Mumbai favoriranno gli ipernazionalisti e che l’attuale Governo, per controbatterne l’ascesa in vista delle elezioni di aprile, tenterà di trasferire sul piano internazionale le cause della tragedia di Mumbai». esattamente quello che sta accadendo in queste ore. Le autorità indiane vogliono provare che gli attentatori venivano soltanto da fuori e accusano, non troppo velatamente, il Pakistan. «A Islamabad c’è già un clima di mobilitazione dei vertici militari che temono l’escalation con l’India», dice Hamid Mir, celebre anchor man di Geo Tv, autore di tre famose interviste a Osama bin Laden. «Gli indiani - prosegue - attraverso il loro ministro degli Esteri hanno minacciato un attacco e le forze armate pakistane hanno comunicato agli Stati Uniti che potrebbero spostare le truppe ai confini con l’India». Uno scenario inquietante ma non certo inconsueto. Pochi altri conflitti dopo la seconda guerra mondiale, con l’eccezione di quello arabo-israeliano, si sono dimostrati così lunghi e drammatici come quello tra India e Pakistan. Dal momento in cui sono diventati Stati indipendenti, dopo la fine dell’Impero britannico nel 1947, gli eserciti di Delhi e Islamabad sono scesi in guerra quattro volte. Questo antagonismo, che ha portato alla corsa verso l’atomica, e a spese militari sfrenate per finanziarie l’apparato militare (in particolare in Pakistan), deriva, secondo alcuni storici, dalla profonda incompatibilità che scaturisce dalla diversa natura dei due Stati, uno, quello indiano, laico e secolarizzato, l’altro, quello pakistano, basato sul pilastro religioso ed etnico. Ma se sulle interpretazioni si può discutere, esiste una certezza: dalla polvere dell’Impero britannico è emerso un universo in drammatico fermento che metterà ancora duramente alla prova, come abbiamo già visto in questi decenni, la stabilità internazionale.