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 2008  novembre 02 Domenica calendario

L´avevamo lasciato lassù sugli spalti dell´arena di Verona, Zucchero, inquadrato trionfalmente da un oblò di luce, in mezzo alla "sua" folla, che cantava You Are so Beautiful, la canzone di Billy Preston resa celebre da Joe Cocker

L´avevamo lasciato lassù sugli spalti dell´arena di Verona, Zucchero, inquadrato trionfalmente da un oblò di luce, in mezzo alla "sua" folla, che cantava You Are so Beautiful, la canzone di Billy Preston resa celebre da Joe Cocker. Era una bella notte nell´equinozio d´autunno, anno 2007: la città meravigliosa, il pubblico festoso, e la trovata di "Sugar", una canzone così sentimentale eseguita a mezza voce fra la gente, a concerto finito, in quella tiepida fine d´estate, era sembrato un arrivederci tremendamente sentimentale. Ed eccolo qui di nuovo, invece, Adelmo Fornaciari, dopo oltre 300mila chilometri e più di duecento concerti in giro per il mondo: alla Carnegie Hall di New York, alla Royal Albert Hall di Londra, ma anche a Petra in Giordania così come in Marocco, Turchia, Armenia, in Sudafrica, in America Latina, e praticamente dappertutto nel pianeta. L´altra sera a Oxford, poi Manchester, quindi di nuovo l´Italia, fin quasi a Natale. Poi, se Dio vuole, basta. Strana e faticosa vita da giramondo di un emiliano di Roncocesi, sette case in provincia di Reggio Emilia fra la via Emilia e l´Autostrada del Sole, quanto di più padano si possa immaginare: il padre prima casaro e poi "valutatore" del parmigiano-reggiano depositato dai produttori alla banca locale, il Banco di San Geminiano e San Prospero; la mamma Rina, le nonne, lo zio Enzo detto Guerra, maoista-leninista, quello che aveva la camera piena di libri e suonava l´armonica. Vita di campagna, vita di paese. Allora, varcata la soglia dei cinquant´anni, come si fa, Zucchero, a condurre questa esistenza dispersa, un concerto ogni due giorni, i viaggi, gli alberghi, senza neppure vedere le città. «Eh, tutti pensano che la musica sia trasgressione continua, invece ci vuole soprattutto disciplina. Anche da piccolo, quando cominciavo a suonare, ero io quello che arrivava per primo e con il mio organo Vox, una pianola, "tiravo giù" gli accordi delle canzoni dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Rokes, dei Nomadi: gli altri, quando arrivavano, trovavano il lavoro fatto». Ma che rapporto ci può essere con la musica in questi mesi di tour furibondo, senza un istante di pausa? «Quando sono in giro con la band non scrivo: perché non c´è intimità, non c´è il lavoro francescano, da soli, con un musicista amico, con cui ci si intende con un´occhiata. Magari resta qualche intuizione, sensazioni, colori, profumi?». Ma il processo creativo viene bene quando sei a casa: «Succede che ti alzi la mattina, metti le mani sul pianoforte e ti accorgi che tutto quello che fai ti piace. In certi giorni invece c´è solo la fatica; ma anche la fatica è utile, perché più fai il mestiere e più ti avvicini all´arte, a una dignità data da un arricchimento continuo. Registro, e poi resto lì fino alle tre di notte, a lavorarci, a ripensarci». Zucchero, ovvero Adelmo, anzi, «´Delmo», come lo chiamavano suo padre e le vecchie di casa, abita nella campagna di Pontremoli, in un antico mulino con tanta terra attorno. Ha messo su uno studio in fondo al campo: «Una house of blues, lo sai cos´è? Una casupola di lamiera ondulata come ci sono sul Mississippi: mangio lì dentro, ci dormo, ci lavoro tutti i giorni. Poi, quando sento che siamo vicini alla conclusione, salgo in auto e ascolto. Non sono più capace farlo in poltrona. Vado in giro per l´Appennino, a caso, dove capita. Mi ritrovo a Reggio in una trattoria, o a Modena come capitava quando c´era Luciano Pavarotti». Forse una volta era più facile. Più immediato. «Già, canticchiavo il mio inglese maccheronico?». Come Lucio Battisti. «Vero, me l´hanno detto. E venivano fuori strofe curiose: "´Cause I´m losing my mind", e lo si traduceva alla fine in "Dai d´illusi smammai"». Facile riconoscere Dune mosse. «Ma quel che conta, per me come appunto per altri come Battisti, e anche Guccini, è stata davvero la gavetta, nei locali: alla Bussola il capo orchestra annunciava il titolo della canzone e la tonalità, poi dovevi arrangiarti, metterci gli accordi giusti. Si impara e ti rimane dentro, il mestiere». Non si capisce bene tuttavia come si può passare dai locali da ballo al giro internazionale. «Oh, per me è stato anche un caso. Eravamo alla fine degli anni Ottanta, e Eric Clapton è venuto a vedermi ad Agrigento, convinto da Lory Del Santo, e alla fine del concerto mi ha detto: "Your music is fantastic, mi piacerebbe che il mondo sapesse di te". Credevo fossero frasi di circostanza: e invece mi chiamò ad aprire i concerti del suo tour europeo, attesissimo. Ragazzi, non ci si può credere: dodici serate all´Albert Hall, con un pubblico esigente, che non guarda solo l´ultimo pezzo in classifica, ti rispetta ma pretende. partito il primo applauso; mi hanno accettato». La carriera internazionale di ´Delmo è partita lì e non si è più fermata. Folle immense a Zurigo, in Canada, a Hyde Park, a San Siro. Sempre cantando quasi tutti i brani in italiano, a parte alcune canzoni come Senza una donna, cioè "Without a Woman"). «Agli inizi cantavo di più in inglese, ma poi mi sono detto: l´opera lirica è italiana, i cantanti sono tutti obbligati a cantarla in italiano; gli artisti stranieri che vengono in Italia cantano nella loro lingua. E allora voglio vedere se all´estero mi accettano come italiano. In questo conta anche l´autenticità delle radici, il fatto che ti riconoscono come uno vero, non solo come un prodotto dell´industria». Molti artisti italiani sostengono di non ascoltare la musica di oggi. E se uno gli cita qualche gruppo o cantautore inglese o americano di grande tendenza fanno musi perplessi. «No, io continuo ad ascoltare molto, sto attento alle novità, ai suoni. C´è sempre da imparare, da farsi sorprendere, a saper ascoltare». Ormai è quasi il momento del ritorno a Pontremoli, nel buen retiro con la sua compagna, Francesca, mezza svizzera e mezza italiana, e con il piccolo Adelmo Blu, dieci anni e una maestra all´antica, «bravissima». Per le feste verranno le due figlie grandi, Alice che lavora con stilisti importanti, prima Mariella Burani e poi Roberto Cavalli, e Irene, la voce di Un sole dentro, che sta preparando un nuovo disco sempre piuttosto soul, dopo quello d´esordio, accolto da buone critiche. C´è un po´ di Zucchero anche questa volta? «Mi ha detto che vuole farcela da sola». Il Sugar-tour finisce il 20 dicembre a Varese. Poi c´è il Natale a casa, nel mulino settecentesco, il pranzo accanto al grande camino, il fratello Lauro e la cognata, una ventina di persone: «Una tavolata molto emiliana, con l´anguilla marinata della vigilia, la "stortina" come si dice a Reggio, i tortellini in brodo, il cappone, il lesso». E soprattutto la luce del presepio, il calore della cucina. Che forse, almeno per una volta, scalda ancora di più del faro che illumina la star Zucchero con il suo cappello là in alto sui gradoni dell´arena di Verona: « vero, adesso che ci penso. Be´, il calore di casa, quando sei stato fuori così a lungo, è più che un piacere». Che cos´è, ´Delmo? « un sentimento».