Sergio Romano, Corriere della Sera 2/11/2008, 2 novembre 2008
Verso il finire della guerra fredda tra Occidente e Unione Sovietica si parlò di crollo del sistema sovietico, di disfatta definitiva del comunismo e di trionfo del sistema occidentale
Verso il finire della guerra fredda tra Occidente e Unione Sovietica si parlò di crollo del sistema sovietico, di disfatta definitiva del comunismo e di trionfo del sistema occidentale. Ci fu addirittura chi intravide in quei mutamenti epocali l’avverarsi del terzo segreto di Fatima («la Russia si convertirà»). Eppure, per risollevare quel sistema piagato dai problemi economici ci volle appena qualche decina di miliardi di dollari, mentre adesso per risollevare il sistema bancario americano ne serviranno almeno 700 miliardi, senza considerare le migliaia di miliardi dei risparmiatori già andati in fumo. Alla luce di questi avvenimenti, secondo lei si potrebbe parlare di un rovinoso crollo del sistema capitalistico? Che lei sappia esiste per caso un quarto segreto di Fatima o, comunque, una previsione di qualche veggente in proposito? Paolo Manfredi paolo-man@libero.it Caro Manfredi, S ui segreti di Fatima e sulle previsioni dei veggenti sono incompetente. Ma sul collasso del sistema sovietico e la disintegrazione dell’Unione Sovietica ho impressioni e ricordi diversi dai suoi. Non so se qualche economista sia riuscito a quantificare il costo di quelle vicende, ma temo che sia molto più alto di quanto lei pensi. Non ce ne accorgemmo perché la stampa e le televisioni internazionali, in quegli anni, si occuparono prevalentemente di ciò che accadeva alle porte di casa nostra (Jugoslavia, Albania, Cecoslovacchia) o delle crisi africane (Algeria, Somalia, Liberia, Sierra Leone, Ruanda) in cui eravamo direttamente o indirettamente impegnati. Ma negli stessi anni in cui le vicende di Mogadiscio assorbivano la nostra attenzione, lo spazio ex sovietico fu teatro di guerre ignote, non meno sanguinose di quelle balcaniche e africane. Si combatté nel Nagorno-Karabach, dove gli armeni riconquistarono un pezzo di territorio che Stalin aveva generosamente assegnato alla repubblica sovietica dell’Azerbaigian. Si combatté in Georgia, dove gli osseti del sud e gli abkhazi insorsero contro il governo di Tbilisi e rivendicarono il diritto all’indipendenza. Si combatté in Moldavia, dove i russi e gli ucraini delle terre al di là del fiume Dniester si rivoltarono contro la maggioranza romena del nuovo Stato indipendente. Si combatté nelle repubbliche islamiche dell’Asia Centrale, dove gli islamisti combatterono contro i gruppi dirigenti post-comunisti. Quanto costarono le decine di migliaia di azeri che dovettero abbandonare il Nagorno-Karabach e vivono da allora in campi peggiori di quelli dei rifugiati palestinesi? Cominciammo a occuparci di questioni russe dopo lo scoppio della prima guerra cecena quando alcuni intellettuali fecero di quella regione il palcoscenico dei loro pellegrinaggi mediatici. Altre sventure sono ancora più difficilmente quantificabili. Parecchi milioni di russi divennero da un giorno all’altro minoranze dei nuovi Stati sorti dal collasso dell’Urss e furono spesso trattati con durezza burocratica dai nuovi padroni. Qualcuno alzò le spalle e rifiutò di commuoversi per la loro sorte. Ma non è necessario avere simpatie comuniste per riconoscere che lo Stato sovietico aveva la sua logica e soprattutto che aveva dimostrato di saper trattare con una certa equanimità i cento popoli della Grande Russia. Quanto costò il dramma di coloro che dovettero abbandonare casa e lavoro per sfuggire alla politica discriminatoria delle nuove amministrazioni repubblicane? ancora meno facile quantificare il costo del passaggio dal comunismo al capitalismo dell’economia di mercato. Bisognerebbe misurare in denaro la spregiudicatezza degli oligarchi, la corruzione delle burocrazie, i conflitti tra bande nelle strade delle grandi città e soprattutto l’indigenza dei ceti sociali che il crollo dello Stato sovietico aveva ridotto in povertà. Vladimir Putin non ebbe torto quando sostenne che la disintegrazione dell’Urss era stata una delle più gravi catastrofi geopolitiche del Ventesimo secolo. Alla sua domanda, caro Manfredi, rispondo che quella in cui stiamo vivendo da qualche settimana non è la crisi del capitalismo. la crisi del cattivo capitalismo.