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 2008  novembre 02 Domenica calendario

MILANO

Lui: «L’Italia è immobile, ferma, si dimostra arretrata quando parliamo di sviluppo e di evoluzione». Lei: «A volte passiamo per un Paese poco serio, ci sono cose di cui qui non ci si meraviglia neanche più». Però lui: «Mi piace l’energia, la forza, la decisione dei ragazzi che scendono oggi in piazza, chiedono di dare possibilità al loro futuro, chiedono rispetto, efficienza, serietà e attenzione ». E anche lei: « vero che il nostro è un Paese di incompetenti e mediocri però alla lunga il talento premia». Entrambi: «Questo è un mestiere che si deve fare seriamente, con impegno, la massima attenzione e scrupolo» (lui); «Da noi si crede nella meritocrazia: un mio assistente lavorava alla cassa» (lei).
Lui ha 74 anni, lei 38. Pezzi della stessa famiglia. Stesso sangue, grinta, severità. Di cognome fanno Armani. Lui lo chiamano Re Giorgio. Lei è Roberta, sempre al suo fianco. Zio e nipote. Incarnazione di classe, eleganza e stile. E rigore. Prima di tutti con se stessi. Si raccontano al settimanale
A, in una doppia intervista di Cristiana di San Marzano, e per la prima volta si lasciano ritrarre insieme dal fotografo Nigel Parry. E parlano di valori, di famiglia, di lavoro. Che poi nel loro caso camminano tutti insieme. Perché in casa Armani il lavoro, quello duro, fatto di disciplina, rinunce e fatica, è il filo conduttore delle giornate di tutti, zio e nipoti.
Giorgio Armani lo dice chiaro: «Non ho frequentato scuole di design o di moda, ho imparato giorno per giorno a gestire questo lavoro con la mia personalità», ma «non ho alcuna nostalgia, vivo proiettato nel futuro», e quindi «ciò che dico ai miei nipoti Silvana, Roberta e Andrea è di essere sempre presenti, di arrivare in ufficio prima degli altri e uscire dopo. Lavorare con la massima umiltà e la consapevolezza che ogni giorno si apprende qualcosa e che nulla è dato per scontato ». E se qualcuno sbaglia sarà trattato «probabilmente con più durezza che in altri casi: Silvana, Roberta, Andrea e mia sorella Rosanna – dice lo stilista piacentino – sono la mia famiglia, penso di avere tutto il diritto di esprimere con loro le mie opinioni con la massima chiarezza, a volte posso essere più duro con loro, ma è servito a costruire delle personalità forti e a farli diventare leader nel loro campo». La sua ricetta? «Penso che i valori si trasmettano con i gesti e i comportamenti, bisogna parlare ai giovani attraverso la propria vita quotidiana e lo dico con una frase di Borges: "Non ascoltate ciò che dicono, guardate ciò che fanno"». Perciò non gli piace «l’Italia dei furbi, dei "figli di" che grazie alle relazioni familiari pensano di arrivare ovunque e permettersi tutto ».
E Roberta, che oggi guida tutti gli uffici che coordinano nel mondo le pubbliche relazioni del gruppo di famiglia, mette in pratica il comandamento dello zio: «Non ti regala nulla, ma se vali ti dà spazio, la mia arma vincente è il savoir faire,
cioè la semplicità e l’educazione, che non c’è più ma conta», e ammette che forse «un po’ ho preso da lui, le persone cui faccio i cazziatoni sono quelle cui tengo di più». Torna indietro con la memoria la ragazzina che a 16 anni lavorava nell’Emporio Armani di New York, racconta un Giorgio Armani inedito, «ha sempre tenuto a mantenere l’unione della famiglia, un valore che è una presenza costante nella mia vita», uno zio che «quando non era famoso arrivava con regali meravigliosi, il più magico una casa per le bambole che mi ha fatto a lungo compagnia», un capofamiglia che a Natale raduna il grande gruppo e «compra lui stesso tortelli e coppa piacentina per tutti». Ma la nipote del Re ricorda pure la sua infanzia di dolore, per la separazione dei genitori, per la malattia del padre, per quella della madre: «Ho pianto tutte le lacrime del mondo, ma ho capito che ogni attimo è prezioso, sacro, se avessi avuto una famiglia da mulino bianco oggi non avrei i piedi per terra, è questa antenna che mi fa vibrare».
Claudia Voltattorni