Paolo Valentino, Corriere della Sera 2/11/2008, 2 novembre 2008
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON – «Nel mondo che cerchiamo non c’è posto per chi uccide civili innocenti, in nome dell’odio estremista. giunto il tempo di un nuovo inizio, di una nuova alba della leadership americana per vincere le sfide del Ventunesimo secolo. Noi rafforzeremo la nostra capacità di sconfiggere i nemici e sostenere gli amici. Rinnoveremo antiche alleanze e forgeremo partnership nuove e durevoli».
Barack Obama ha volato alto, nel presentare ieri a Chicago il suo dream team di politica estera.
Una squadra di «personalità e opinioni forti», che il presidente eletto ha scelto per esser sicuro che nella sua Casa Bianca, ci sia un «vigoroso dibattito », dove però alla fine sarà lui ad assumersi la responsabilità delle scelte strategiche: «Come diceva Harry Truman, al capolinea ci sono io».
Hillary Clinton e Robert Gates, James Jones e Susan Rice, Eric Holder e Janet Napolitano erano schierati al fianco del presidente eletto e del suo vice, Joe Biden, in quella che diventerà la nuova iconografia dell’America nel mondo a partire dal 20 gennaio: «Sono persone che condividono il mio pragmatismo sull’uso del potere e la mia visione dell’America come leader».
All’ex first lady, futuro segretario di Stato, Obama ha dedicato la parte più lunga ed elogiativa dell’introduzione: «Ha intelligenza e fermezza straordinarie, una grande etica del lavoro. una formidabile americana, avrà la mia completa fiducia, conosce molti dei leader del mondo, è rispettata in ogni capitale. La sua nomina è un segnale ad amici e nemici della serietà del mio impegno a rinnovare la nostra diplomazia ». Lei, molto elegante in tailleur-pantalone nero attillato con collana e orecchini di brillanti, ha risposto a tono: «Lavorerò perché l’America sia di nuovo forza positiva per il cambiamento ». Poi, citando John Kennedy e rivolgendosi a Obama, ha aggiunto: «Sono fiera di poterla seguire in questa difficile ed eccitante avventura nel nuovo secolo. Dio benedica lei e il nostro grande Paese».
A Robert Gates, confermato al Pentagono due anni dopo essere stato nominato da George Bush, Obama ha riconosciuto di «aver riconquistato la fiducia di comandanti militari e soldati, aver ottenuto il rispetto di ambedue
L’ex first lady
«Sono fiera di poterla seguire. Lavorerò perché l’America sia forza positiva per il cambiamento»
gli schieramenti del Congresso per la sua competenza». La sua nuova missione sarà «di concludere responsabilmente la guerra in Iraq» e di «assicurare strategia e risorse per vincere contro al Qaeda e i talebani». «Devo fare il mio dovere, come le nostre donne e uomini in armi fanno il loro, in Iraq, Afghanistan e altrove », ha detto Gates nel suo breve ringraziamento.
Del nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale, il generale in pensione James Jones, il presidente eletto ha ricordato che porterà nella sua Amministrazione «la doppia esperienza di chi ha indossato l’uniforme ed è stato anche un diplomatico». Dopo aver guidato il corpo dei marines ed essere stato comandante supremo della Nato, Jones è stato inviato in Medio Oriente per il Dipartimento di Stato.
Susan Rice, consigliere di Obama durante la campagna elettorale, sarà il nuovo ambasciatore alle Nazioni Unite, con l’autorità rafforzata di membro del gabinetto. Una svolta importante per il Palazzo di Vetro: «Susan condivide la mia opinione che l’Onu sia un forum indispensabile e imperfetto: porterà il messaggio che l’impegno all’azione multilaterale vada accompagnato dalla riforma ».
«Durezza e autonomia», sono secondo Obama le qualità necessarie che Eric Holder, futuro Guardasigilli, porterà al ministero della Giustizia. Mentre Janet Napolitano, che lascia il posto di governatore dell’Arizona per andare a dirigere la Sicurezza nazionale, «offre l’esperienza, la competenza e le qualità esecutive di cui c’è bisogno» per coordinare le politiche anti-terrorismo e la risposta alle catastrofi naturali.
Per mano Barack Obama con Hillary Clinton ieri a Chicago dove ha presentato il suo dream team
Paolo Valentino
CORRIERE DELLA SERA 2/12/2008
MARIA LAURA RODOTA’
«Se Bill avesse la gobba sarebbe un grande Igor per Frankenstein-Hillary », ora che lei è segretario di Stato. Da capo del mondo libero simpatico e cialtrone, da maschio alfa attivissimo alla Casa Bianca, Mr. Clinton torna a Washington con un ruolo subalterno, da attendente pasticcione.
Però rimane alfa, a pensarci; è uno che rispetta i patti. Prima toccava a lui, poi a lei. E qualunque cosa lei avesse vinto, lui avrebbe dovuto rinunciare ad attività, viaggi, soldi, libertà personale.
La battuta su Igor è da Politico. com. Il compiacimento ironico perché Bill ha dovuto firmare con il Team Obama, più che un patto politico, un accordo prematrimoniale in più punti, è diffuso.
C’è anche chi – come Christopher Hitchens su Slate
’ dice che non basta. Che l’impegno di Clinton (marito) a rivelare i nomi dei 208 mila generosi che hanno finanziato la sua fondazione (tra loro la famiglia reale saudita, i governi del Kuwait e del Qatar, il genero dell’ex presidente ucraino, eccetera) non cancella le porcherie compiute da lui e da Clinton (moglie) quando erano al potere. E quando stavano per lasciarlo: ci furono una serie di perdoni presidenziali dell’ultimo minuto a ricchi ladroni (generosi anche loro). Ci sono poi dubbi rapporti con altri stranieri ancora più ricchi, genere imprenditori cinesi. E sono storie in cui non si sa dove finisce Bill e dove comincia Hillary. Quanto siano una coppia Macbeth e quanto un duo innovativo nella politica mondiale. Oltre a essere la più straordinaria coppia disfunzionale della storia americana, va da sé.
Disfunzionali ma legati da un patto, da sempre. Si erano conosciuti alla Yale Law School, lui ragazzo povero ed eccezionale dell’Arkansas, lei ragazza borghese ed eccezionale dell’Illinois. Poi Hillary si era trasferita da lui a Little Rock e l’aveva aiutato a diventare governatore. Intanto era diventata un grande avvocato. Intanto lavoravano per la nomination democratica. Per il ticket «paghi uno, prendi due»; non si era mai visto un candidato con una moglie così brava, forse più di lui, si diceva.
Il ticket era arrivato alla Casa Bianca nel ”92, ma lei aveva patito un brutto insuccesso con il suo tentativo di riforma sanitaria. I due sono rimasti alla Casa Bianca nel ”96, e lui aveva affrontato lo scandalo Lewinsky. Nel frattempo succedeva di tutto, accuse di corruzione al loro entourage e pareggio di bilancio, amore e odio per la First Couple, discorsi femministi di Hillary e rivelazioni femminili sulla promiscuità di Bill. Erano (sono, le ultime sono di qualche mese fa, si parlava di Gina Gershon, attrice della serie The L Word) notizie a cui Hillary non reagiva pubblicamente; faceva sempre la sposa leale. E si diceva «è un matrimonio politico, per il resto sono separati, tra loro c’è un patto», al solito. Un patto che per la contraente
The Hillary Trap; la tesi, che Hillary era finita nella trappola della power couple, si era sacrificata tutta la vita per il marito, ne sarebbe uscita umiliata e sconfitta.
Comunque: ora Bill potrà andare in giro per il mondo molto meno. Non potrà farsi pagare per i suoi discorsi (anche 400 mila dollari l’ora; l’anno scorso ha guadagnato 10 milioni in 54 pubblici interventi). Viaggi, incontri, soldi alla fondazione, insomma tutto, dovrà essere controllato e approvato dagli «ethics officials» del dipartimento di Stato. L’accordo è il risultato di giorni di trattative tra gli avvocati di Clinton e quelli di Obama. Subito, ieri, Bill ha fatto dichiarazioni da marito fiero e orgoglioso. Poi, a gennaio, la nomina di Hillary dovrà essere esaminata e confermata dalla commissione Esteri del Senato; e non sarà una passeggiata. Non è l’ultima puntata della saga Clinton, il bel gesto di Bill, di sicuro.
Ps. Non è che in Italia ci stupiamo troppo di certe cose? E’ oramai normale, nei Paesi normali e occidentali, che un coniuge maschio rinunci a qualcosa quando la coniuge femmina ha un incarico importante. E’ ancor più normale che, per ricoprire cariche pubbliche, sia necessario (addirittura) evitare zone oscure e conflitti di interesse. Va bene, va bene, era così per dire.
femminile può essere rovinoso, sosteneva nel 2000 la commentatrice neocon Laura Ingraham. Il titolo del suo libro era L’incontro Hillary Rodham, 23 anni, e Bill Clinton, 24 si conobbero alla Yale Law School. Cominciarono a uscire insieme nella primavera del ’71. Lei lo seguì in Arkansas.
Nel ’75 si sposarono Casa Bianca
Bill diventa presidente nel ’92: sopra lui e Hillary con Al Gore, vicepresidente, e sua moglie. A sinistra, Chelsea tra i genitori dopo il caso Lewinsky. A destra in alto, padre e figlia ieri Il tradimento Bill con Hillary. Nel tondo la Lewinsky
Maria Laura Rodotà