Lucia Annunziata, La Stampa 1/12/2008, 1 dicembre 2008
Precari e licenziandi guerra tra poveri a La7 Il direttore del Tg La7 Antonello Piroso ha firmato (congiuntamente all’ad della società editrice, Telecom Italia Media, Giovanni Stella) il licenziamento di 25 giornalisti, oltre un quarto di un corpo redazionale particolarmente giovane, nessun prepensionabile e pochi ultracinquantenni
Precari e licenziandi guerra tra poveri a La7 Il direttore del Tg La7 Antonello Piroso ha firmato (congiuntamente all’ad della società editrice, Telecom Italia Media, Giovanni Stella) il licenziamento di 25 giornalisti, oltre un quarto di un corpo redazionale particolarmente giovane, nessun prepensionabile e pochi ultracinquantenni. Lo strumento utilizzato da azienda e direttore è la legge 223 del 1991, quella normalmente usata per mettere in mobilità gli operai. Meglio così. Nessuno dica che siamo una casta di privilegiati. La7 licenzia così 25 giornalisti dichiarandoli in esubero mentre dentro La7 decine di persone fanno lavoro giornalistico, spesso da anni, con contratti precari e retribuzioni infime. Questo vale per tutti i programmi di informazione, pure realizzati all’interno della testata, e il più delle volte appaltati a società di produzione esterne (Magnolia, Endemol, Wilder ecc.): marchi noti al pubblico come Omnibus, Exit, Le invasioni barbariche, Tetris. La legge 223 obbliga azienda e sindacato a «un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa». Al tavolo del confronto l’azienda si rifiuta di darci i dati di contabilità industriale («le cause») alla base dei licenziamenti, imputando alle nostre insistenti richieste l’obiettivo di cogestire l’azienda. Il secondo argomento è quello più serio. Il direttore Piroso non ha avallato i licenziamenti, li ha sottoscritti e li difende con un’argomentazione stupefacente: non ricolloco voi nell’azienda perché se no dovrei cacciare i precari. Infatti l’ovvio obbligo di legge di trovarci una ricollocazione in azienda prima di licenziarci imporrebbe di farci lavorare nei programmi di informazione al posto di chi lavora sotto il ricatto di un contratto a termine. Una sorta di drammatica guerra tra poveri - precari e licenziandi - ovvia conseguenza della procedura voluta dall’azienda e da quel direttore, Antonello Piroso, che va ai convegni del Pd sul welfare e sulle politiche a favore dei giovani e dei precari. Tutta la vertenza di La7 insomma ruota intorno al progetto aziendale di precarizzare, malpagare ed esternalizzare - ove possibile - il lavoro giornalistico. La nostra vicenda è drammatica e vale per tutti. IL COMITATO DI REDAZIONE DE LA7 Cari colleghi de La7, grazie per il vostro intervento. Ripeto quello che ho detto due giorni fa: che un direttore a volte subisce, a volte avalla i licenziamenti dell’azienda. In entrambi i casi, è nelle sue prerogative. Che il Pd debba per questo metterlo al bando (perché di ciò si trattava) non mi sembra il caso. Questa discussione tra me e l’Associazione Stampa Romana (di cui anche pubblico qui sotto la risposta) serve tuttavia a riportare l’attenzione sulla vertenza de La7 che certamente si presenta come singolare e significativa. *** Piroso, un capitano contro l’equipaggio Rispondo volentieri alla sollecitazione su «Il caso La7 e il Partito Democratico», come titola la «Posta, risposta» del 28 novembre. Precisiamo subito che nessuno voleva togliere la parola ad Antonello Piroso. Il problema che abbiamo sollevato è sindacale, di coerenza e di opportunità. Sindacale, perché i direttori sono e devono restare dei giornalisti, il loro ruolo è scritto nel nostro contratto di lavoro, articolo 6, perché continuiamo a pensare che debbano essere «primi inter pares», i capitani di una nave che si chiama redazione. Se la nave affonda il capitano mette prima in salvo l’equipaggio. Niente di tutto questo si è verificato nel comportamento di Piroso: al tavolo della trattativa non ce lo siamo trovato né a fianco né in posizione neutrale, ma schierato sul lato opposto, a sostenere le ragioni dell’azienda. E qui arriviamo alla questione della coerenza: ci si può dire progressisti, se si sposano le ragioni unilaterali dell’impresa? In questo caso, poi, siamo di fronte a un piano di licenziamenti che il sindacato ritiene infondato e, nella forma, persino illegale. Si può professare la solidarietà col mondo del lavoro e negarla ai propri redattori? Si può chiedere regole giuste e chiudere la porta ai giornalisti impedendo che vengano utilizzati, salvando così posti di lavoro, nelle trasmissioni che Piroso firma come responsabile? Basta un supposto torto subito dal sindacato, come rivela Piroso in un’intervista al settimanale Anna, a giustificare quella che, raccontata così, sembra una vendetta postuma a scapito di chi non c’entra nulla? Per chiudere la questione di opportunità: Piroso è stato deferito ai probiviri dell’Associazione per violazione della clausola di solidarietà, è stato contestato, mai offeso, per il suo ruolo svolto nella vicenda La7. Ci è suonato inopportuno che il più grande partito di opposizione, che si definisce il partito del lavoro, lo chiamasse a moderare un dibattito su quei diritti che col suo comportamento ha più volte negato. Ci piacerebbe che il collega Piroso ci smentisse coi fatti: siamo pronti a ricrederci nel vederlo rimettersi alla testa della sua ciurma e rivendicare che l’informazione di qualità si fa soltanto coi giornalisti e in numero sufficiente. Lo farà? PAOLO BUTTURINI CONSIGLIERE SEGRETARIO