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 2008  dicembre 01 Lunedì calendario

L’intensità e la probabile durata della crisi economica fanno apparire inadeguati i provvedimenti finora adottati in Europa per contrastarla

L’intensità e la probabile durata della crisi economica fanno apparire inadeguati i provvedimenti finora adottati in Europa per contrastarla. I canali del credito rimarranno a lungo parzialmente ostruiti dall’eccessivo indebitamento degli intermediari e di alcuni settori dell’economia reale. La revisione delle stime dei rischi, in corso presso le banche, porta a ristrutturare la qualità e il costo dei prestiti. Nessun ammonimento politico ai banchieri può evitare all’economia reale la fatica di adattarsi alle nuove condizioni. Nel frattempo, le difficoltà di imprese e famiglie si propagano, domanda e produzione rallentano, con un’inerzia che cesserà solo qualche semestre dopo la ripresa dei circuiti finanziari. La politica macroeconomica non può far molto. Per temperare la crisi, deve essere concertata internazionalmente e usare bene gli strumenti monetari e di bilancio. Giovedì prossimo la Bce decide sui tassi. probabile che li abbassi ancora, in misura significativa. L’importante è che non esageri e convinca i mercati che la discesa dei tassi europei si fermerà abbastanza lontano dallo zero, anche se l’inflazione diventasse temporaneamente negativa. Eccessivi ribassi dei saggi a breve controllati dalla Bce, se transitori, non fanno scendere i tassi sui rischi a più lungo termine e hanno effetti trascurabili; se invece sono ribassi duraturi, tolgono incentivi a correggere la gestione del rischio che ci ha messo nei guai e diventano premessa per nuove bolle finanziarie. Non è il denaro gratis che cura una crisi nata proprio dall’aver inondato il mondo di liquidità a buon mercato. Politici, banchieri e imprenditori dovrebbero smettere di scaricare in critiche alla Bce le loro frustrazioni e sensazioni di impotenza. Più adatta a fronteggiare la crisi è la politica di bilancio. Si stanno discutendo le sue linee di indirizzo europee e i provvedimenti nazionali. diffusa l’opinione che il disegno degli stimoli fiscali sia debole e insufficiente e che sia colpa del Patto di Stabilità e della Commissione. Ideale sarebbe una forte espansione, concentrata in tutta Europa su tre voci. Taglio delle imposte sui redditi da lavoro, soprattutto i più bassi; aumento dei sussidi di disoccupazione; investimenti nelle banche per aiutarle a ricapitalizzarsi e a ridurre l’indebitamento. L’insieme delle tre voci beneficia sia la domanda sia l’offerta: stimola la spesa, contiene i costi lordi del lavoro, riduce il razionamento del credito, facilita le ristrutturazioni. Sussidi di disoccupazione e aiuti alle banche sono per natura temporanei; non si dovrebbe invece insistere sulla temporaneità dei tagli alle tasse, per evitare che alimentino i risparmi invece delle spese. Minori imposte sui salari bassi e welfare per i disoccupati frenano inoltre lo squilibrio della distribuzione dei redditi, che sta rendendo la crisi più drammatica. Si fa troppo conto sulle spese in infrastrutture. Quelle utili devono aver luogo regolarmente, ma dalla crisi non ci salveranno i lavori pubblici. Sono spese comunque lente, favoriscono solo alcuni settori, spesso non privilegiano i progetti migliori ma quelli che generano più voti nel breve periodo. L’inadeguatezza delle politiche di bilancio che si prospettano non è colpa del Patto di Stabilità né della grettezza burocratica della Commissione. dovuta, da un lato, al desiderio dei Paesi membri di gestirle in modi non omogenei, accontentando i gruppi di pressione nazionali. Il che porta a far apparire Bruxelles come un intralcio, indebolisce l’impeto comunitario della manovra, incentiva stimoli di bilancio nazionali dispersi in mille rivoli, come sta succedendo in Italia. L’altra causa di inadeguatezza delle politiche di bilancio europee è il mercato internazionale dei titoli pubblici, sul quale si stanno per riversare, fra l’altro, colossali emissioni Usa. I singoli governi europei non possono contare su una loro banca centrale per garantire la moneta necessaria a rimborsare i titoli che emettono; la Bce, per Statuto, non può finanziarli. I loro titoli sono dunque soggetti a rischio di insolvenza. Maggiori disavanzi ne fanno salire i tassi, soprattutto quelli dei governi più indebitati come il nostro. Da qualche tempo i Btp pagano ben più dei titoli tedeschi. Con debiti pubblici crescenti, fenomeni speculativi possono destabilizzare il mercato europeo dei titoli di Stato. Il problema diventa tanto più trattabile quanto più il mercato avverte che l’espansione di bilancio è un fatto comunitario, che si fanno passi verso più coordinamento e accentramento delle finanze pubbliche europee. Per ora i passi sono troppo piccoli. La Commissione, anche sul piano dell’immagine, è troppo debole nell’esercitare il suo potere-dovere di iniziativa. I governi si oppongono caparbiamente a delegare poteri a organi comunitari. Come fa l’Europa a progettare di raccogliere imposte ed emettere titoli in proprio, se non è nemmeno capace, nonostante gli spaventi della crisi, di sbrigarsi a centralizzare la vigilanza su banche, borse e assicurazioni? cruciale che le prossime elezioni europee siano condotte parlando di Europa, non di bisticci nazionali. Dovrebbe emergere la richiesta che al nuovo Parlamento venga proposta una Commissione di alto profilo e grande autorevolezza. Un’interpretazione generosa e lungimirante delle elezioni europee aiuterebbe anche le politiche di bilancio dell’Unione a diventare più generose e lungimiranti.