Gaia Piccardi, Corriere della Sera 1/12/2008, 1 dicembre 2008
MILANO
Quello che le tenniste non dicono non è mai stato un suo problema. Flavia Pennetta tuffa un altro biscotto nel cappuccino, fuori la neve e dentro il calore della Puglia, la n.1 d’Italia è a Milano per una cena tra globetrotter del tennis («Filo, Poto, Francesca... Non ci vediamo dal funerale di Federico ed è bello ritrovarsi pensando a lui»), il pomeriggio è abbastanza capiente da contenere il racconto dei suoi primi 26 anni, alla vigilia del sogno di una vita: l’ingresso nelle top 10.
Flavia, ormai ci siamo.
«Sì. Se vado un po’ avanti, e far peggio del primo turno dell’anno scorso è impossibile, dopo l’Australian Open posso entrare nelle prime 10 giocatrici del mondo».
Mai nessuna tennista italiana c’è riuscita. Emozionante?
«Uno spettacolo! Papà Oronzo, quando ho cominciato, diceva: chissà se Flavia arriverà nelle prime 200... I miei genitori sono stati bravi a non mettermi pressione, ma poi in campo ci vado io: le top 10 sarebbero una cosa grandiosa e soltanto mia».
Il sacrificio più grande?
«Uscire di casa a 14 anni».
Il suo tennis è fatto più di talento atletico o tennistico?
«Metà e metà. Da bambina mi riuscivano tutti gli sport: corsa campestre, 200 metri, saltavo in alto, ero nella squadra di basket della scuola, facevo persino equitazione in un maneggio vicino a Otranto. Nel tennis, col lavoro, sono migliorata tanto».
Come?
«Tre anni di cesti, in Spagna, con il mio coach Gabriel Urpi. Ho bisogno di ripetere all’infinito il movimento, prima di metabolizzarlo. Servizio, volée, dritto, posizione: tutto può essere migliorato. Voglio essere più precisa senza avere la pretesa di essere perfetta ».
E qui entra in gioco lo psicologo.
«Prima mi arrabbiavo e sparivo dal campo.
Ora mi arrabbio, regalo due 15 e mi riprendo. Con lo psicologo ci vediamo a Barcellona e parliamo, parliamo...
Bueno hai sbagliato una palla, mi chiede, qual è il dramma?».
Prima di emigrare in Spagna, ha vissuto a Milano dove nel 2001, a 19 anni, ha preso il tifo. Ci tolga una curiosità: come?!
«Mangiando una forchettata di bianchetti crudi, olio e limone. Due settimane d’incubazione, 41˚ di febbre, 21 giorni d’ospedale. In quel periodo, avendo molto tempo per pensare, feci una scommessa con me stessa: dedicarmi al tennis anima e corpo per una stagione. Se non avessi fatto il salto di qualità, avrei smesso. Alla fine del 2002 ero numero 93».
Chi è la più forte?
«Le Williams. Serena più di Venus, se si allena».
La più simpatica?
«Le italiane e le spagnole».
La più bella?
«Kirilenko e, di viso, Ivanovic».
Quella che se la tira di più?
«Facile, Sharapova. Però ha anche carattere: ha vinto tutto e gioca ancora con la cattiveria dell’inizio».
La Jankovic vale il numero 1?
«Non avrà un talento speciale, però ha una costanza mostruosa».
Pennetta-Williams 3-1. Come si batte Venus?
«Prendendola a mazzate! L’ultima volta, a Zurigo, ci siamo tirate dietro anche i comodini... Il rispetto delle fuoriclasse si conquista così: ora se m’incontra si ferma a parlare».
La più amica?
«Schiavone e Camerin. Puoi non vederti per un mese e quando ti rincontri è come se il tempo non fosse passato. Succedeva così anche con Federico Luzzi...».
Parliamone, vuole?
«L’ultima volta abbiamo cenato insieme a Los Angeles, lui era là per un corso di recitazione. Fla, non sai quante donne, mi diceva. E io lo sfottevo: ma cosa cavolo ci troveranno in te... Ogni tanto guardo la foto di Fede che tengo nel portafoglio: era bellissimo».
riuscita a farsi una ragione della morte di Federico, portato via da una leucemia fulminante?
«Fede se n’è andato nel suo stile. Da protagonista assoluto, al centro dell’attenzione, come ha sempre vissuto. Ho pensato che vedersi malato non gli sarebbe piaciuto, non l’avrebbe retto. L’unico conforto che ho trovato è questo: lui sapeva, e ha scelto così».
Tra volare in Canada per conquistare una storica qualificazione al Master ed essere presente al funerale, non ha avuto dubbi.
«Ero in treno, mi chiama un amico: Fla, sta morendo Fede... Che cazzo dici?, sbotto. Ho pensato si fosse schiantato in macchina, ci stava tutta... Non ho dubitato un secondo e sono partita per Arezzo. Noi amici abbiamo organizzato un’esibizione il 20 dicembre: il ricavato andrà alla Fondazione Luzzi contro la leucemia».
Cambiamo energia. Come va l’amore?
«Non c’è. Si può star bene anche sole. Però, un giorno, a Moya mi toccherà dire grazie: mi ha fatto scoprire cose di me che non conoscevo. La grinta, la forza, la voglia di riscatto».
Tutta la verità sulla rottura con Carlos Moya. Adesso o mai più.
«Si è innamorato di un’altra. lecito, però si è comportato male. Mi chiamò il giorno in cui uscirono le foto con lei. Fino a quella mattina dovevamo sposarci. Ho perso dieci chili in una settimana. Una botta pazzesca, li mortacci sua... ».
Navratilova all’«Isola dei Famosi» sulla Bbc: coraggiosa o patetica?
«Annoiata. Un’atleta ha sempre bisogno di sentire l’adrenalina».
Il doping nel tennis esiste?
«Spero di no, ma credo di sì».
E l’omosessualità?
«Sì».
Come vorrebbe essere ricordata, a fine carriera?
«Come la migliore tennista italiana di sempre. E come una bella persona. Mi piacerebbe che si dicesse: cavolo, però, questa Pennetta...».
Gaia Piccardi