Armando Torno, Corriere della Sera 1/12/2008, 1 dicembre 2008
Biografia di Teresa Stolz
Teresina Stolzová, soprano boemo, diventò famosa nella seconda metà dell’Ottocento con il nome di Teresa Stolz. Nata nel 1834 a Kostelec nad Labem, dopo aver studiato a Praga esordì a Torino. Si stabilì in Italia dal 1863 e morì a Milano nel 1902. Voce di grandissima estensione, potenza eccezionale, splendido timbro. Era bella? Sì, non soltanto: ben conscia delle sue doti, le utilizzò per mietere molte più vittime di quante ne computano le cronache, oltre al povero maestro Angelo Mariani che morì poco dopo la fine della loro storia. Taluni aggiungono anche Verdi, che in varie occasioni si mise a sua completa disposizione. Senza contare quanto accadde alla corte di San Pietroburgo, dove fu coperta di regali e infranse cuori. Viktor Gajduk, dell’Università di Mosca, confidava di aver trovato versamenti per 100 mila rubli – il costo allora di una villa con parco sul lago – per servizi resi alla diplomazia dello zar, registrati nei libri contabili del ministero degli Esteri. Ora, dopo un secolo e qualche anno di silenzio, sono riapparse tutte le lettere che il maestro di Busseto scrisse alla Stolz per un trentennio, sino al 1900. Sono missive di cui si conoscevano pochissimi frammenti (il più celebre è la ricetta della spalletta di San Secondo), riportati da Giovanni Cenzato – l’unico che ebbe la possibilità di vedere qualche epistola negli anni ’30 – in Itinerari verdiani (Fresching, Parma). Giancarlo Moroni, esperto di autografi, è stato contattato dagli eredi della Stolz che probabilmente hanno intenzione di alienare la preziosa raccolta e l’ha esaminata (del resto, una settantina d’anni fa cedettero l’autografo del Requiem di Verdi, con dedica alla Stolz). In un incontro Moroni ha ricordato che si tratta di 234 lettere, delle quali 155 di Verdi, 39 della moglie Giuseppina Strepponi e altrettante sono vergate a quattro mani, una infine è della figlia adottiva Maria Carrara Verdi. Tutte indirizzate alla Stolz, tutte piene di notizie inedite e di giudizi che il maestro si concedeva in privato. Se per Moroni si consumò senza dubbio una relazione amorosa, chi scrive dopo aver potuto esaminare sommariamente i documenti e scambiato delle impressioni con Philip Gossett dell’Università di Chicago e con Laura Nicora (Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Cremona, consulente di librai antiquari), si limita a riportare alcune notizie inedite contenute in tali lettere. E lascia ai musicologi il compito – se e come – di valutare il contenuto. Innanzitutto, la ricetta della spalletta di San Secondo è soltanto un esempio dei discorsi gastronomici di Verdi, che in queste missive tratta sovente di cucina: descrive mangiate, bevute, l’allungamento del brodo con il Chianti, la predilezione per i fagiani e la carne in particolare, i suoi godimenti con il marsala (che, tra l’altro, utilizzava per regali). Ma questo aspetto è uno dei tanti. Dalle lettere riportiamo in anteprima alcuni preziosi giudizi sui musicisti. Per esempio, il 18 marzo 1894, parlando del compositore Alberto Franchetti, artista gradito a D’Annunzio, Verdi commenta riferendosi probabilmente alla sua opera Fior d’Alpe: «Mal scritta per le voci... è il gran malanno di tutti i giovani di considerare la voce come un suono d’un altro strumento». Il 29 novembre 1900 tocca a Cavalleria Rusticana di Mascagni: «Forse potrebbe far bene, ma è troppo squilibrato e per voler far nuovo non bada a far bello... Ma se la gente va a teatro, tutto va bene ». Per Puccini c’è un giudizio positivo, un «Evviva la Tosca!» in un biglietto del 1900, che la dice lunga e li compendia tutti. L’11 marzo 1888 è la volta di Wagner e del suo Lohengrin: «Lieto del successo che non poteva essere maggiore di quello che fu stante la deficienza d’esecuzione delle due parti» (è, quasi certamente, un riferimento a direzione e cantanti). Inoltre, tra i molti altri, vale la pena riportare qualcosa sul suo Otello, per la ripresa del 1889 alla Scala. Verdi non era presente e due cantanti ebbero problemi. Il 22 febbraio nota: «Io prevedevo questo disastro e lo scrissi a Giulio (Ricordi, n.d.r.) tale e quale com’è successo... Le esitazioni nelle cose teatrali portano sempre a rovina». Per Falstaff nel 1892 riesce a contenere le esose richieste degli interpreti, si scopre inoltre che la Strepponi detestava Massenet. Il compositore francese si recò da Verdi a Genova prima di mettere in scena il Werther a Milano, il 22 novembre 1894 la moglie scrive alla Stolz: «Io secondo la mia abitudine, non l’ho veduto, né lo vedrò, ciò che non farà né male né bene al suo successo. Se non vi dispiace, servite una parola su questo a Verdi». Per quanto riguarda la politica, il maestro non perdeva occasione per esprimersi. Tra i molti, basti questo commento del 5 giugno 1900, con la sinistra avanzante: «Avete sentito delle elezioni? E l’avvenire quale e cosa sarà? Non bello!». Inoltre il suo atteggiamento da orso con parenti e conoscenti è confermato. Il 19 novembre 1895, alla notizia della morte di una certa Maddalena (quasi sicuramente la figlia di Barezzi), che possedeva sue composizioni giovanili, scrive: «Roba che vorrei si distruggesse. Voglio vegliare su questa musica perché gli eredi che brutta razza! ». Inoltre il 5 agosto 1898, dopo la morte di Giuseppina lascia le seguenti parole a se stesso (riprese da Cenzato): «Imbecille, vecchio imbecille, tu che hai meditato tanto sulle cose e sulle ragioni umane non hai ancora imparato che la gratitudine è un sentimento di convenzione e che nel cuore non esiste?». Dopo le quali aggiunge (Cenzato non le riporta, noi omettiamo il nome): «E sì che... senza di me e di quella che non è più, sarebbe una miserabile contadina che non tutti i giorni avrebbe la minestra in tavola!». I frammenti che possono far credere a un rapporto con la Stolz abbondano. Non mancano inviti a Sant’Agata, alle terme di Tabiano e di Montecatini, regali, indicazioni di orari ferroviari. E frasi come le seguenti: «Non andare in stazione... così nessuno saprà nulla» (10 febbraio 1894); «Saremo soli! Non inviterò per quel primo giorno né Giulio né Boito!» (3 gennaio 1898, la Strepponi è già morta); «Non voglio che Boito né altri che verranno da me sapranno delle vostre brutte cose. Se si dovessero divulgare e fare pettegolezzi... non mi vedono più in questi luoghi » (10 agosto 1898); «Per avere distrazioni bisogna scrivere delle opere o essere innamorati» (3 maggio 1900); «Ore deliziose ma troppo brevi... chissà quando torneranno» (12 giugno 1900: parole, queste ultime, viste anche da Cenzato). Che aggiungere? Gossett sottolinea: «Le lettere che ora vengono alla luce rappresentano una delle scoperte verdiane più interessanti degli ultimi decenni. Si conosceva il rapporto ma non avevamo la documentazione. Emergono, tra l’altro, giudizi musicali interessanti e preziosi; rivelano aspetti poco noti e dettagli esistenziali del compositore proprio in un periodo in cui aveva deciso di ritirarsi a Sant’Agata a fare il contadino».