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 2008  dicembre 01 Lunedì calendario

Uno pari. Se era questo l’obiettivo che si proponeva rifiutando perfino l’astensione alla riforma universitaria di Mariastella Gelmini, la sinistra (con l’eccezione di Nicola Rossi) può dirsi soddisfatta: un dispetto a testa

Uno pari. Se era questo l’obiettivo che si proponeva rifiutando perfino l’astensione alla riforma universitaria di Mariastella Gelmini, la sinistra (con l’eccezione di Nicola Rossi) può dirsi soddisfatta: un dispetto a testa. Quasi un decennio dopo la scelta sventurata della destra di mettersi di traverso al tentativo di Luigi Berlinguer di introdurre nella scuola il merito attraverso il «concorsone », bollato come il «concorsaccio » e accanitamente osteggiato da Forza Italia, An e Ccd perché non si poteva «stabilire per legge che il 20% è bravo e gli altri no», l’opposizione ha reso pan per focaccia. Con una serie di motivazioni (si può fare di meglio, i criteri sono discutibili, si rischiano ingiustizie, ci vuole ben altro...) non dissimili da quelle usate a suo tempo dagli avversari. Certo, chi da anni si batte contro le storture del mondo universitario vede nella svolta di oggi, insieme a cose da verificare nella pratica ma sulla carta positive e agognate come l’aumento dei finanziamenti agli atenei virtuosi e il taglio di risorse a quelli spendaccioni (è inammissibile che l’indennità di assistenza ospedaliera vada allo 0,1% dei dipendenti dell’Università di Trieste e all’83% di quelli della Seconda Università di Napoli, bidelli e bibliotecari compresi) diverse incognite. possibile, ad esempio, che l’«anagrafe delle pubblicazioni » che dovrebbe servire a valutare i docenti si risolva in una furbata burocratica con la moltiplicazione di libri mai editati, mai stampati e mai letti ma solo timbrati in Questura. Ed è possibile che certe cordate di baroni che oggi pilotano i concorsi, sconvolte dal sorteggio, continuino come prima con la semplice variante che i patti scellerati saranno stretti «dopo» invece che «prima». Può darsi. E sarà bene stare in guardia. Ma di sicuro, come dice un antico adagio popolare valido oggi esattamente come nel caso del «concorsone» berlingueriano, piuttosto che niente è meglio il piuttosto. C’è di meglio? Sicuro. Finché non sarà fatta la scelta netta di abolire il valore legale del titolo di studio nei concorsi pubblici, il rettore della più scalcagnata università del pianeta sarà autorizzato a ripetere, senza arrossire, quanto sosteneva Francesco Ranieri, un professore di ragioneria che a Villa San Giovanni aveva intitolato un ateneo a se stesso: «Perché uno dovrebbe andare a studiare alla Bocconi quando con 15 euro al giorno può ottenere una laurea qui?». Senza un colpo di scopa che spazzi via il ridicolo egualitarismo delle lauree, ogni riforma è monca. Ma nella situazione data, in cui perfino un concorso truccato sanzionato fino in Cassazione non è stato annullato dal ministero perché «l’annullamento di un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità», dire di no e basta non ha senso.