Marco Ansaldo, La Stampa 30/11/2008, 30 novembre 2008
A tre mesi dalla fine delle Olimpiadi, Margherita Granbassi realizza oggi a Praga il desiderio espresso in quei giorni a Pechino: incontrare il Dalai Lama e consegnargli la maschera usata nella gara individuale di fioretto in cui vinse la medaglia di bronzo
A tre mesi dalla fine delle Olimpiadi, Margherita Granbassi realizza oggi a Praga il desiderio espresso in quei giorni a Pechino: incontrare il Dalai Lama e consegnargli la maschera usata nella gara individuale di fioretto in cui vinse la medaglia di bronzo. Un gesto simbolico. «La maschera che ha difeso me dalle mie avversarie, possa difendere lui e il suo popolo dai soprusi che stanno subendo» ha dichiarato nei giorni scorsi la schermitrice triestina, emozionatissima per l’incontro. «Non so neppure come rivolgermi a una personalità così importante - sorride oggi Margherita -. La timidezza spesso mi rende impacciata in queste situazioni dove bisogna seguire un rituale: spero soltanto di non presentarmi davanti a lui confusa e con la testa incassata nelle spalle come una tartaruga». Qualcuno pensa che dopo il polverone sollevato, anche involontariamente, dalla sua partecipazione ad «Anno Zero», con le dimissioni dai carabinieri, questo sia un altro modo per far parlare di lei. «Non è così, infatti in tv non ho dato nessuna pubblicità all’incontro e avrei voluto vivere questo momento segretamente, tenendo tutta per me l’emozione. Tuttavia avrei tradito una delle ragioni per cui il Dalai Lama ha accettato di incontrarmi: aggiungere un’occasione per far parlare della questione tibetana». E’ un argomento che dopo le Olimpiadi si è oscurato. Dalla proposta di boicottare i Giochi al silenzio assoluto: lo sport dimentica così in fretta? «Premesso che a parlare di boicottaggio furono i politici e non gli sportivi, oggi non vedo un argomento che riesca a stare a lungo sotto i riflettori senza cadere presto nel disinteresse. Sappiamo che la situazione in Tibet non è cambiata con le Olimpiadi, i problemi sono rimasti gli stessi e c’è bisogno di risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica anche con piccoli gesti simbolici come il mio». Cosa le hanno detto gli altri atleti italiani che a Pechino volevano regalare i loro oggetti personali al Dalai Lama? «Non c’è stato il tempo per coordinarsi, è successo tutto molto in fretta. Carlo Oggero e la Red Carpet lavoravano da tempo a questo obiettivo e Praga è la prima città europea che il Dalai Lama visita dopo i Giochi ma fino a pochissimi giorni fa non speravo che trovasse un buco nella sua agenda per incontrarmi». Maschera a parte, di cosa gli parlerà? «Ho letto molto su di lui, sul suo ruolo di capo spirituale e sul Tibet ma ho paura di non essere all’altezza di sostenere una conversazione approfondita. Però vorrei parlargli dell’iniziativa degli Atleti per il Tibet che spero prenda peso». E’ vero che si farà buddista? «No. Il mio interesse per il Dalai Lama non è tanto filosofico e religioso. Sono affascinata dalla sua figura perché da decenni combatte per il suo popolo una guerra difficilissima, talvolta osteggiata dai governi, ma sempre pacifica, fatta di gesti e messaggi. E’ un guerriero di pace e mi sento vicina alla sua spiritualità. Fu così anche con Papa Woytyla. Da bambina, a Roma, passando accanto a un gruppo di fedeli, mi sfiorò la mano e mi rimase un’emozione fortissima tanto che alla sua morte stetti 8 ore in coda per pregare davanti alla sua salma». Anche la scherma ha bisogno di guerrieri di pace con le polemiche che sono esplose in questi giorni dopo che Montano ha dichiarato che potrebbe cambiare nazionalità. «Non ho parlato con Aldo nè con gli altri atleti che hanno una posizione molto critica verso la politica federale. Ho poche informazioni però credo che, per il bene della scherma che è la nostra vita, tutti debbano smorzare i toni e risolvere i problemi parlandosi». Stampa Articolo