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 2008  novembre 30 Domenica calendario

Per cercare di riabilitare il figlio condannato a 25 anni di galera per omicidio, una mamma di 46 anni si è inventata agente segreto, ha seguito per mesi e sedotto un giurato del processo e, alla fine, ha estratto da lui ciò che voleva: la prova che la sentenza è uscita da un procedimento irregolare

Per cercare di riabilitare il figlio condannato a 25 anni di galera per omicidio, una mamma di 46 anni si è inventata agente segreto, ha seguito per mesi e sedotto un giurato del processo e, alla fine, ha estratto da lui ciò che voleva: la prova che la sentenza è uscita da un procedimento irregolare. Ora, sulla base di queste ammissioni, i suoi avvocati stanno preparando le carte che presenteranno la settimana prossima per l’appello con l’obiettivo di convincere il tribunale a riaprire il caso. «A volte l’amore di una madre rivela cose che i più diligenti avvocati o investigatori non riescono neppure a immaginare», dice Lloyd Epstein, legale del condannato, a Vanity Fair. La Mata Hari di Brooklyn, Doreen Giuliano, da un anno usava il cognome da nubile, Dee Quinn, nella seconda vita da segugio. Oltre al nome aveva cambiato look: ore in palestra, abiti sexy e fascianti, tintarella ai raggi uva, reggiseno molto reggente, tacchi a spillo. Doveva farsi abbordare da Jason Allo, 32 anni, aitante operatore edile, uomo di punta nella squadra di giurati che avevano condannato tre anni fa il figlio di Doreen, John Giuca, e l’amico Antonio Russo. Giuca - che oggi ha 25 anni - era accusato d’aver ordinato a Russo di uccidere Mark Fisher, 19 anni, universitario invitato per un party a casa Giuliano, assenti i genitori. La madre, sempre presente al processo, sentì puzza di bruciato nei comportamenti della giuria, in particolare nutrì dubbi su Allo. E volle vederci chiaro. Affittò a 1100 dollari al mese un appartamento nel quartiere di Bensonhurst, a Brooklyn, vicino all’abitazione di Allo. Ne studiò con quotidiani pedinamenti ogni mossa e finalmente, affiancandolo una volta in bicicletta, riuscì a farsi notare e a presentarsi. Ne nacque un flirt, con il marito di Doreen al corrente e consenziente. «L’unica condizione che mi aveva posto era che non ci andassi a letto - ha raccontato la spia dilettante - ma avrei fatto di tutto, se fosse servito». Invece, i rapporti tra i due non arrivarono al sesso (almeno questa è la versione accreditata da entrambi nelle interviste): un coinvolgimento comunque sufficiente a Doreen per strappare da Allo ammissioni registrate di nascosto su nastro per essere usate nel ricorso. «Tecnicamente, secondo la legge, non avrei mai dovuto far parte di quella giuria», ha detto il giovanotto in una delle tante serate passate a bere e a mangiare nel frugale appartamentino di Doreen, che si era presentata come un’analista finanziaria californiana in trasferta a New York. «All’inizio i giudici del tribunale ti leggono una lista di nomi delle persone imputate e dei testimoni, e se tu conosci o sei affiliato a qualcuno di loro sei obbligato a farlo sapere», ha spiegato Allo ammettendo alla donna di aver frequentato in passato vari membri della gang Ghetto&Mafia. Per i giudici Giuca era il capo della banda e fu lui a far assassinare Fisher dal fedele Russo. Il motivo, banalissimo, fu uno sgarro in un codice d’onore alterato dall’alcol. Giuca e il suo amico avevano conosciuto Mark in un bar dell’Upper East Side a Manhattan, avevano bevuto e tirato tardi. A notte fonda lo studente aveva accettato di andare con i due nuovi amici nella casa di Giuca vicino a Prospect Park, a Brooklyn. Ma l’avrebbe offeso sedendosi su un tavolino da caffè anzichè su una sedia. Stampa Articolo