Giuseppe Zaccaria, La Stampa 30/11/2008, 30 novembre 2008
ELEZIONI IN ROMANIA DEL 30 NOVEMBRE 2008
Vale veramente la pena l’essere europei? Nelle elezioni politiche che oggi si svolgeranno in Romania - le prime dall’ingresso, il 1 gennaio 2007, in quella che allora era una comunità di ricchi - la domanda non viene posta in termini espliciti però è sottintesa a ogni comizio ed è in grado di provocare ogni genere di sorpresa. Finora i candidati sono andati avanti a risse televisive e regali agli elettori, in genere trote o maialini arrosto. Adesso si fa sul serio.
A due anni dall’ingresso i 18,3 milioni di elettori di una delle nazioni più popolose e arretrate dei Balcani scoprono che l’Europa non è abitata da angeli, e anzi i nuovi fratelli del mondo avanzato li respingono come sterminata tribù di brutti, sporchi e cattivi. Lì dove come moneta si adopera ancora il «leu» di Nicolae Ceaucescu (l’euro sarà introdotto nel 2014) il contraccolpo della disillusione si somma a quello della crisi economica. Quel che accadrà oggi promette di essere il primo banco di prova della nuova Europa, più che mai in bilico fra i picchi di una vagheggiata unità e le voragini della finanza creativa.
In meno di due anni la Romania è riuscita a copiare dall’Europa tutto il peggio reiterandolo in processi molto accelerati. Come sempre accade una volta celebrato l’ingresso del nuovo «partner» tutti ce ne eravamo disinteressati, e all’interno della Romania la politica si è trascinata fra ripetuti crolli di coalizioni, governi di minoranza, tentativi di impeachement del presidente e una gestione della cosa pubblica che presto è tornata ad essere guerra di bande. Adesso, alla vigilia delle elezioni i sondaggi dicono che non vincerà nessuno e le possibilità di costruire un esecutivo efficiente dipendono dal presidente Traian Basescu.
Come ex comandante di Marina il capo dello Stato dovrebbe essere aduso a varcare acque tempestose. La situazione però è talmente indecifrabile ad averlo spinto a dichiarare in via preventiva: «Chiunque vinca, spetterà a me designare il capo del governo».
In effetti nei sondaggi i voti appaiono divisi quasi equamente fra le grandi formazioni in campo. Il Pnl (partito nazionale liberale) del premier Calin Popescu Tariceanu viene accreditato intorno al 20%. Il Psd (socialdemocratico) di Mircea Geoana in coalizione coi liberali dovrebbe raggiungere il 30% ma potrebbe toccare il 34, come il Pdl (liberale) di Theodor Stolijan, 65enne deputato europeo. Le stime possono rovesciarsi in qualsiasi momento, potrebbe vincere il centro-destra come i socialisti alleati coi conservatori, e comunque per governare ciascuno avrà bisogno di una coalizione.
Gli analisti politici esprimono auspici più che previsioni: «Qualsiasi governo uscito dalle urne dovrà prendere misure molto impopolari». A Forbes Robert Turcescu, uno dei più fini commentatori del Paese dice soltanto che «qualsiasi combinazione è possibile e il nuovo governo avrà il difficile compito di portarci fuori dalla crisi».
Gli indicatori paiono pessimi. Dopo l’entusiastico ingresso in Europa le falangi dei rumeni ricacciati in patria hanno trovato una situazione politica indecifrabile e un’economia ai limiti del collasso. Il vagheggiato «boom» non si è verificato se non per i prezzi degli appartamenti di lusso a Bucarest, la crescita economica dopo un anno in cui ha toccato l’8%, per il 2009 raggiungerà a fatica il 3%, le pensioni sono da fame, da qualche tempo le fabbriche cominciano a chiudere e la sola prosettiva di rilancio sembra consistere nella costruzione di mille chilometri di autostrade, promessi sia dal governo che dall’opposizione.
La Dacia, maggiore azienda automobilistica nazionale consociata alla Renault e la Kraft Romania che produce alimentari hanno annunciato un fermo che in ottobre ha spinto fuori dalle fabbriche 4 mila operai. Il sistema degli ammortizzatori sociali praticamente non esiste, in pochi mesi una disoccupazione intorno al 4% giunge a punte del 7% in un Paese che dopo aver vissuto una emigrazione massiccia adesso vede rientrare gran parte della sua forza lavoro delusa dal sogno d’Occidente.
Lo stipendio medio rumeno statisticamente è intorno ai 340 euro mensili, il minimo è di 142, le tensioni sociali si acuiscono in misura davvero preoccupante. Oggi vincerà chi riuscirà a mettere il moto un qualche ottimismo nazionale rispetto alla delusione europea.