Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 30/11/2008, 30 novembre 2008
La Federal Reserve si sta rivelando peggio del Banco di Napoli. L’istituto partenopeo, che continuò a battere moneta anche dopo l’Unità per oltre mezzo secolo, è considerato l’esempio di come non si debba esercitare il credito
La Federal Reserve si sta rivelando peggio del Banco di Napoli. L’istituto partenopeo, che continuò a battere moneta anche dopo l’Unità per oltre mezzo secolo, è considerato l’esempio di come non si debba esercitare il credito. L’ultimo gerente, Ferdinando Ventriglia, fu così generoso nell’affidare clienti senza garanzie e nell’assicurare ai dipendenti pensioni senza copertura, che perse la reputazione di banchiere e acquistò quella di gestore di clientele per conto dei padrini politici del Banco, desiderosi di consenso e pace sociale. Quella distorsione dell’attività creditizia durò a lungo, ma non all’infinito. Alla resa dei conti il Banco di Napoli venne rilevato da altri, e ora fa parte di Intesa Sanpaolo. Il cambio di proprietà fu reso possibile dalla Banca d’Italia che si accollò i prestiti tossici, perdendoci 4 miliardi di euro, senza nulla chiedere al Tesoro. Ebbene, che cosa sta accadendo nel sistema bancario che tutto il mondo, Italia compresa, ha cercato di copiare? Quel sistema è semplicemente fallito. Prima sono state le supponenti investment banks a pietire protezione. Adesso è Citicorp, colosso bancario universale, a invocare la garanzia pubblica sui suoi 306 miliardi di attivi. La banca, è vero, si impegna a sostenere i primi 29 miliardi di perdite, ma il Tesoro aggiunge 27 miliardi ai 25 già dati sottoscrivendo azioni Citi privilegiate e poi s’impegna a coprire i primi 5 miliardi di ulteriori perdite, l’ente statale di garanzia dei depositi si prenderà i successivi 10 e la Federal Reserve l’eventuale resto. E qui arriviamo alla Fed in salsa partenopea. Subito dopo Citi, infatti, la Fed annuncia che rileverà 200 miliardi di obbligazioni bancarie, che cartolarizzano crediti al consumo, e 600 miliardi di obbligazioni Fannie Mae, Freddie Mac e Ginnie Mae, che cartolarizzano mutui immobiliari. Benché la stampa e politica se la siano bevuta, bisognerà pur ricordare che il piano Paulson avrebbe dovuto sistemare i titoli tossici e che l’amministrazione controllata di Fannie e Freddie avrebbe dovuto porre in sicurezza il settore dei mutui. E invece, dopo nemmeno due mesi, non è più così. Peggio, la Fed riceve a garanzia sulle obbligazioni ex credito al consumo 20 miliardi dal piano Paulson. Che quindi non serve a comprare titoli tossici ma a garantire le perdite sugli acquisti di tali titoli da parte della Fed in ragione di 1 a 10. Siamo ai multipli: 29 miliardi Bear Stearns, 125 Aig, 200 le due Fannie e Freddie, 700 il piano Paulson, 300 Citi, 800 l’ultimo giro che inizia a usare a leva i precedenti. Acquisendo questa carta d’incerto valore, la Fed eleva le proprie attività da 2200 a 3 mila miliardi, mentre il suo capitale consolidato, 42 miliardi, è più o meno quello dell’agosto 2007 quando gli attivi, allora formati da titoli di Stato, erano 874 miliardi. La Fed si è finanziata facendo debiti con il Tesoro e le banche vigilate. Potrà continuare? E a fronte di tanto debito siamo sicuri che gli attivi siano meglio di quelli del Banco di Napoli e che il governatore Bernanke ce ne dia una rappresentazione più veritiera di quelle di don Ferdinando?