Vittorio Emanuele Parsi, La Stampa 29/11/2008, 29 novembre 2008
L’India è ormai entrata stabilmente nel novero dei Paesi target dell’estremismo islamista, la cui galassia si dimostra sempre più capace di elaborare strategie che raccordino la dimensione regionale con quella globale
L’India è ormai entrata stabilmente nel novero dei Paesi target dell’estremismo islamista, la cui galassia si dimostra sempre più capace di elaborare strategie che raccordino la dimensione regionale con quella globale. In questa prospettiva, appare in realtà non così rilevante che la regia degli attentati dei giorni scorsi sia imputabile ad al Qaeda piuttosto che a spezzoni deviati dei potentissimi servizi segreti pachistani (Isi). A tal proposito, non dovremmo mai dimenticarci che, per quanto la sua leadership ideologica e militare sia araba, al Qaeda si è forgiata nella lotta contro i sovietici in Afghanistan, trovando prima nei servizi segreti del Pakistan e poi nei Talebani gli alleati necessari per compiere quel salto di qualità che l’avrebbe portata a realizzare gli attentati dell’11 settembre 2001. Oggi, mentre le cellule dell’organizzazione in Iraq sono state in gran parte smantellate grazie alla brillante conduzione politico-militare concepita e attuata dal generale Petraeus, l’Afghanistan, la terra dove Bin Laden ha costruito le basi della sua fortuna jihadista, torna a essere il teatro principale dello scontro. Come conseguenza di ciò, l’ambiguità della posizione pakistana si fa sempre meno sostenibile. La collaborazione di Islamabad è infatti una condizione necessaria per qualunque strategia contro i Talebani, anche e soprattutto per quelle più «politiche», che mirano alla frattura della coalizione raccolta intorno al Mullah Omar. E in una simile ottica, mentre il fronte afghano riacquista la sua primitiva rilevanza strategica, l’ampia indulgenza, per non dire l’aperto sostegno, che le forze di sicurezza pakistane hanno fin qui garantito ai Talebani non è più tollerabile. Questo ha generato le crescenti pressioni sul governo pakistano affinché si comporti più lealmente rispetto agli alleati americani e della Nato. Ma ha anche prodotto la risposta avversaria. Finora, l’azione jihadista si era «accontentata» di destabilizzare il Pakistan, senza sfruttare appieno tutte le possibilità offerte dalla particolare condizione del Paese. Con gli attentati di questi giorni, che in realtà coronano una lunga serie di violenze costate la vita a oltre 800 cittadini indiani, i jiahdisti hanno scelto di cambiare la propria strategia. Non intendono più limitarsi alla conquista del potere nel musulmano Pakistan, ma vogliono fare di questo Paese la prima linea di un nuovo scontro frontale contro gli infedeli. Hanno cioè smesso di considerare il Pakistan come il teatro di una fitna (la guerra civile contro gli apostati e gli empi all’interno della umma islamica), per trasformarlo invece nella prima linea di un jihad contro gli infedeli e «idolatri» indiani. Tutto ciò implica che il lungo conflitto che dai tempi della partizione si trascina latente, e che ciclicamente esplode, tra India e Pakistan venga messo al servizio di questo disegno, e l’irredentismo kashmiro ne diventi parte integrante, replicando amplificato e con maggior successo il tentativo di islamizzazione del conflitto ceceno. Ovviamente questo comporta, all’interno del progetto jihadista, il riposizionamento dell’India, la quale diventa il «nemico vicino», da colpire insieme al «nemico lontano» occidentale: con un’estensione all’India e al suo rapporto con l’Occidente (soprattutto nella sua declinazione economica) della medesima logica applicata nei confronti di Israele (il piccolo Satana) e della sua relazione con gli Stati Uniti (il grande Satana). Due fronti di mobilitazione vengono così saldati: la lotta contro gli apostati e quella contro gli infedeli si fanno una cosa sola, grazie anche all’agevolazione oggettivamente fornita dalla progressiva egemonia che il nazionalismo indù sta svolgendo nei confronti del patriottismo indiano (di cui anche gli attentati anticristiani dei mesi scorsi hanno costituito un tragico segnale). Stampa Articolo