Annamaria Sacchi, Corriere della Sera 29/11/2008, 29 novembre 2008
MILANO
vero, nelle università italiane i corsi di laurea sono oltre 5.500. Ma la Germania ne ha 8.955. Per non parlare dell’Olanda, che vanta il migliore sistema accademico europeo nonostante i 12 indirizzi con un solo iscritto. E i nostri 23.571 dottori di ricerca? Pochi, rispetto ai 37.489 francesi. Questione di numeri. E di classifiche. Sei professori della Statale di Milano le hanno studiate, scandagliate, comparate. E in un mese – indignati dalla «parzialità dei dati sbandierati» e da «discorsi strumentali a una volontà di governo di operare tagli indiscriminati » – le hanno raccolte. Risultato, un pamphlet che vuole raccontare gli atenei italiani «senza chiedere attenuanti ». Si intitola così: «L’università malata e denigrata, un confronto con l’Europa».
Ottanta pagine di «carenze reali e difetti inventati». Per far capire che sì, il sistema universitario italiano è lontano dal top, ma non è nemmeno quel disastro di cui si parla da mesi. Un’ammissione di responsabilità. E un secco no alla vis denigratoria «tanto di moda di questi tempi». questo il senso del lavoro condotto dal team di Marino Regini, prorettore dell’ateneo milanese. Un’indagine che doveva diventare una pubblicazione accademica. E invece no, ecco il pamphlet (per informazioni marino. regini@unimi.it), cucinato di corsa, «nato dalla rabbia». Perché se l’università è malata, certi «discorsi pubblici non si sono preoccupati di distinguere gli organi sani da quelli in difficoltà».
La ricerca, partita un anno fa, mette a confronto i sistemi universitari di Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Olanda e Italia. Prima osservazione: «All’estero, appena ci si accorge che qualcosa non va nel settore dell’alta istruzione, si pone rimedio investendovi più risorse. Il contrario di quanto avviene da noi, dove le pecche talvolta gravi sono usate per giustificare un’ulteriore diminuzione dei fondi».
Dunque i numeri: 68,4 corsi di studio per ateneo (86,1 in Germania), 320 sedi distaccate «per colpa in parte della classe politica, in parte degli enti locali e dunque non dell’università», 668 mila fuoricorso, il 20 per cento di abbandoni tra primo e secondo anno, l’80 per cento di studenti senza borse di studio (4% nei Paesi Bassi). Dati che ci fanno scendere nelle valutazioni internazionali. Eppure, nonostante tutto, le università italiane presenti nelle quattro principali classifiche sono più numerose di quelle spagnole.
Saper leggere i dati. Senza strumentalizzarli.
Su questo punta il professore Regini. Invitando a riflettere su quanti «lavorano con serietà e passione negli atenei». Lo chiede anche Enrico Decleva, rettore della Statale e presidente della Crui: «La documentazione offerta da questo opuscolo dimostra che l’università merita interventi in positivo e non continui attacchi. E che vale ancora la pena investire nella ricerca ».