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 2008  novembre 29 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 1 DICEMBRE 2008

«Qui si fronteggiano due Stati dalle identità inconciliabili, armati fino ai denti, bombe atomiche comprese. A differenza di altri scenari, nel confronto indo-pakistano l’uso dell’arma atomica non è affatto impensabile». Così, sulla Repubblica di sabato, Lucio Caracciolo ha commentato gli attentati che la settimana scorsa hanno sconvolto Mumbai (l’ex Bombay), capitale economica dell’India e capitale di uno Stato (Maharashtra) dove gli ultranazionalisti indù del Shin Sena sono fortissimi. I terroristi hanno colpito i grandi hotel amati dagli stranieri (Taj Mahal, Oberoi Trident), il celebre ristorante Leopold’s Café, l’affollatissima stazione ferroviaria Chhatrapati Shivaji, l’aeroporto locale Santa Cruz, il Centro ebraico, centrali di polizia, strade, ospedali, cinema, mercati ecc. Alla fine si sono contati circa 200 morti ed oltre mille feriti. [1]

Ai media locali è arrivata una rivendicazione firmata da un gruppo sconosciuto, i ”Mujahedin del Deccan”. Secondo fonti vicine alla Cia è ragionevole ritenere che dietro questa sigla si nascondano gli ”Indian Mujaheddin”. [2] Presunta motivazione dell’attacco: la volontà di vendicare i soprusi della polizia indiana sui musulmani di Mumbai. [3] Il Deccan è una regione di Hyderabad, ultimo grande regno musulmano assorbito nella Repubblica dopo l’indipendenza. Fonti dell’intelligence indiana, citate da ”Times of India”, hanno fatto notare che «nel 2004 i militanti del gruppo radicale Jaish-i-Mohammad decisero in una delle loro riunioni in Pakistan di concentrarsi sull’obiettivo dell’indipendenza di Hyderabad». [4]

Nel maggio scorso, all’indomani di un attentato che aveva fatto 63 morti nella città turistica di Jaipur, i ”Mujahedin del Deccan” avevano minacciato nuovi attacchi ai turisti se il governo non avesse interrotto il sostegno a Washington. [4] L’economista indiano (già premio Nobel) Amartya Sen: «Non credo alla rivendicazione di piccoli gruppi terroristici, non si può credere a un attentato concepito ”in casa”». [5] Suketu Mehta, autore del libro inchiesta Maximum city. Bombay città degli eccessi (Einaudi): «Il Pakistan è un paese molto diviso, con forze che si combattono fra loro al suo interno: e alcune di loro, come i servizi segreti, hanno più volte appoggiato chi voleva provocare una guerra fra India e Pakistan. Hanno appoggiato azioni terroristiche contro l’India, alcune anche a Mumbai. Lo scopo chiaro era quello di far scoppiare violenze fra i musulmani e gli hindu che in questa città convivono». [6]

Le intelligence indiana, inglese, americana e russa escludono un coinvolgimento diretto di Al Qaeda. [2] Peter Bergen, tra i maggiori esperti di terrorismo islamico: «Penso che a Mumbai, come già in passato, si siano mosse organizzazioni che praticano forme di terrorismo in outsourcing. Che di Al Qaeda richiamano il brand, condividono l’orizzonte ideale, ma non ne implicano il coinvolgimento diretto. Che, del resto, in un Paese come l’India richiede un’organizzazione di cui Al Qaeda è priva». [7]

Secondo molti esperti, gli attentati di Mumbai non sono in stile Al Qaeda. Bernardo Valli: «Altri pensano tuttavia che non esista un rigoroso stile cui i terroristi si debbono adeguare. Non c’è un regolamento che impone il suicidio con dinamite. Né che fissa obiettivi umani precisi. Né che obbliga a rivendicare con sincerità le azioni appena compiute». [8] Christine Fair esperta di Asia alla Rand Corporation, consiglia di guardare in altre direzioni: «Ci sono un sacco di musulmani infuriati dalle disparità economiche e sociali in India». [4] Tariq Ali: «Tra gli strati più poveri della comunità musulmana cova la rabbia contro la discriminazione sistematica e gli atti di violenza portati avanti nei loro confronti, dei quali il pogrom anti-musulmano del 2002 a Gujarat è solo l’episodio più eclatante e più noto, supportato dal primo ministro e dagli apparati di stato locali». [9]

Per decenni il Kashmir è stato trattato dagli indiani come una colonia. Ali: «Le condizioni sono molto peggiori che in Tibet, ma avvengono nell’indifferenza dell’occidente». [9] Parvina Ahanger, presidente dell’Associazione delle Persone Scomparse: «Migliaia di persone sono state prelevate dai soldati soltanto perché sospettate di essere simpatizzanti di movimenti indipendentisti. Torture e esecuzioni sono all’ordine del giorno». [10] Secondo l’MI6 inglese, il solo tra i Servizi occidentali europei con una radicata e storica presenza in India, le stragi della settimana scorsa sono opera di un’organizzazione terroristica islamista nata in Afghanistan nel 1991, Lashkar-e-Toiba (l’’Esercito dei puri”). [2]

Lashkar-e-Toiba si è fatta un nome soprattutto nella guerra per il Kashmir, dove dal 1993 si è distinta per l’efficienza militare e la crudeltà degli attacchi contro i civili non musulmani. Il gruppo, che considera hindu ed ebrei nemici da distruggere, ha firmato i principali attentati degli scorsi anni in India, dall’attacco al parlamento di Delhi del 2001 agli attentati di Mumbai di due anni fa. Il quartier generale sta a Lahore, in Pakistan. Claudio Gallo: « facile immaginare che un’organizzazione del genere non possa operare nel Paese senza il consenso dell’Isi, i potenti servizi segreti pakistani, gli inventori dei taleban, la cui regia oscura è postulata in qualsiasi complotto terroristico dall’11 settembre in poi». [3]

Quelli di Lashkar-e-Toiba vogliono la creazione del Califfato d’Oriente. Mimmo Cándito: «Una sterminata geografia di popoli e di terre che dovrebbe portare la bandiera verde del Profeta e il credo di Allah a dominare i cuori e le menti di miliardi di fedeli, dall’India fino alla Cina, dal Bangladesh e dall’Afghanistan fino alla Russia». [11] In india vivono oltre 110 milioni di musulmani, divisi tra una maggioranza sunnita e una minoranza sciita. Marco Guidi: «Se gli sciiti sono sempre stati tranquilli e osservanti delle leggi, tra i sunniti hanno trovato asilo, appoggio e spesso attiva collaborazione i terroristi islamici». [12]

Pakistani e indiani combattono dal 1947, quando il Raj britannico venne diviso tra l’Unione indiana e la Terra dei puri. Ahmed Rashid, autore di Caos Asia. Il fallimento occidentale nella polveriera del mondo (Feltrinelli), spiega che la rivalità è cambiata di scala dopo gli attentati alle Torri Gemelle. Roberto Ciccarelli: «Sebbene siano alleati degli Stati Uniti nella loro guerra globale al terrorismo, India e Pakistan hanno frainteso pesantemente le conseguenze dell’11 settembre, convinti che la guerra in Afghanistan avrebbe accelerato il conflitto sull’attribuzione della regione del Kashmir. Nel 2002, infatti, i due contendenti si sono sfidati sui confini, minacciando una guerra nucleare». [13]

In questi anni l’Afghanistan è diventato il vero terreno di lotta per l’egemonia nella regione. Ciccarelli: «Questo paese è stato considerato dal Pakistan un’arma contro gli indiani. Una rivalità geopolitica che è, a parere di Rashid, alla base del fallimento della presidenza di Hamid Karzai. L’appoggio indiano alla strategia della Nato ha infatti spinto il Pakistan ad una politica di neutralità nei confronti dei talebani fuggiaschi ai quali, com’è noto, è stata concessa ospitalità. In risposta, l’India ha finanziato l’Afghanistan di Karzai ed ha addestrato dissidenti beluci e sindhi in Pakistan. In altre parole, Kabul è diventato il nuovo Kashmir, il terreno di scontro dell’infinita guerra indo-pakistana». [13]

In India e Pakistan convivono due anime. Theo Guzman (Lettera 22): «Una cerca di negoziare, aprire nuove strade, raffreddare gli animi; l’altra spinge verso la linea del fronte e tiene calda una tensione che è sempre facile alimentare». Negli ultimi giorni Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto da poco salito ai vertici dello Stato, ha detto che il Pakistan è pronto a recedere dal principio del ”first strike”, il diritto a colpire per primo l’odiato nemico con l’arma atomica, ed ha fatto ufficializzare la dismissione dell’ufficio politico dell’Isi. [14] Rashid: «Ogni volta che si aprono nuove possibilità di pace tra i due Paesi gli estremisti islamici cercano di boicottarlo nel sangue». [15]

Il partito di Zardari, conservatore, anti-americano e filo-islamico, potrebbe non mostrare la stessa apertura verso la nuova amministrazione Usa. [14] Bush ha recentemente stipulato con Nuova Delhi un grande accordo di collaborazione in materia di energia atomica che rende l’India un potenziale alleato di Washington contro la Cina. Giuseppe Mammarella: «In questa situazione il Pakistan che da mezzo secolo è stato uno degli alleati più fedeli dell’America ha due motivi per manifestare una forte ostilità alla nuova politica di Washington: quello per la presenza occidentale in Afghanistan che Islamabad ha sempre considerato la sua area di influenza esclusiva e l’altro per la rivalità storica nei confronti di un’India a cui il governo americano vuol riconoscere il rango di grande potenza mondiale». [16]

Gli attacchi della settimana scorsa potrebbero creare difficoltà al governo filoamericano del premier indiano Singh e avvantaggiare gli induisti, meno disponibili alla collaborazione con Washington, alle elezioni del prossimo anno. Quanto al Pakistan, indispensabile per il successo degli americani (e della Nato) in Afghanistan, non è mai stato tanto fragile. Carlo Jean: «Il governo è debole e diviso. L’economia è sull’orlo del baratro. Il terrorismo islamista sta dilagando. L’esercito teme di delegittimarsi e di perdere la propria unità, qualora obbedisse al governo. Quest’ultimo, invece, ha bisogno degli aiuti americani ed è perciò più disponibile a ad attaccare Talebani e jihadisti di al Qaeda». [17]

Con gli attentati di questi giorni, i jiahdisti hanno scelto di cambiare la propria strategia. Vittorio Emanuele Parsi: «Non intendono più limitarsi alla conquista del potere nel musulmano Pakistan, ma vogliono fare di questo Paese la prima linea di un nuovo scontro frontale contro gli infedeli. Hanno cioè smesso di considerare il Pakistan come il teatro di una fitna (la guerra civile contro gli apostati e gli empi all’interno della umma islamica), per trasformarlo invece nella prima linea di un jihad contro gli infedeli e ”idolatri” indiani». [18]