Giovanni Fasanella, Panorama, 4/12/2008, 4 dicembre 2008
GIOVANNI FASANELLA PER PANORAMA, 4/12/2008
Assedio a Forte Walter Guerre intestine a sinistra Dalemiani, mariniani, rutelliani: tutti contro Veltroni. A Roma ma anche a Milano, Torino, Bologna e, da ultimo, in Sardegna. In attesa del congresso, e temendo le sconfitte elettorali, nel Pd si prepara la successione. Con Letta e Zingaretti in pole position.
«Ora basta con le guerre fratricide nel Pd, ci stanno portando al suicidio politico-elettorale»: il deputato Roberto Giachetti ha scelto lo sciopero della fame come forma di protesta contro le oligarchie veltroniane, dalemiane, mariniane e rutelliane, protagoniste di una faida che sta bruciando energie, idee, consensi, e minaccia sempre più vistosamente la stessa leadership di un partito nato poco più di un anno fa con l’ambizione di «cambiare la politica». Martedì 25 novembre, quando, pallido e smagrito, Giachetti si è affacciato nel Transatlantico di Montecitorio, era all’undicesimo giorno di astinenza. Ed è deciso a continuare finché non avrà raggiunto lo scopo: il ripristino della «legalità democratica» nel Pd romano, di cui lui è stato un fondatore. Chiede che gli organismi dirigenti della capitale, l’assemblea e il segretario cittadini nominati per cooptazione vengano invece scelti attraverso elezioni primarie. Come prevede il regolamento interno, finora disatteso per non turbare un precario equilibrio tra gli interessi politico-personali dei vari capicorrente. «Ma se la classe dirigente del Pd non recupererà un po’ di senno» avverte «quei milioni e milioni di elettori, simpatizzanti e militanti che credono ancora con passione in questo progetto presto si decideranno a chiedere il conto».Quello di Giachetti non è il colpo di testa di un isolato. la manifestazione di un dissenso che monta, a Roma e in tutta Italia, contro vertici nazionali e satrapie locali. Un malumore che si sta coagulando su internet, in mancanza di spazi adeguati all’interno delle strutture del partito. Facebook, il social network dove le oligarchie non riescono a imporre il loro controllo e i movimenti di opinione si formano spontaneamente e liberamente, sta diventando il luogo simbolo della protesta. Che, dal web, ora minaccia di straripare all’esterno, nella vita reale. Un gruppo di 300 militanti del partito romano, dopo aver aderito all’appello lanciato su Facebook da «Quelli che vogliono le primarie a Roma», hanno autoconvocato un’assemblea in un teatro cittadino, il pomeriggio di lunedì 1º dicembre. Roma ma anche Torino, Milano, Venezia e Bologna. E il Sud, con Napoli, Palermo e Bari: città da mesi epicentro di una crisi politica che rischia di diventare devastante. E all’elenco si aggiunge ora Cagliari, il capoluogo di una regione dove si sta consumando l’ultimo episodio della guerra fratricida: le dimissioni del governatore Renato Soru, finito in minoranza sulla legge urbanistica, martedì 25 novembre, a causa del mancato appoggio da parte di molti uomini della sua stessa maggioranza.Ultimo in ordine di tempo, l’episodio della crisi sarda è anche politicamente il più rivelatore. Perché è colpito uno degli uomini di punta del veltronismo, l’imprenditore che cominciò a muovere i primi passi in politica proprio quando Walter Veltroni era segretario dei Ds. E che di recente ha tolto parecchie castagne dal fuoco al leader del Pd, comprando e rilanciando L’Unità. Sì, è lui, Veltroni l’obiettivo contro cui puntano gli altri maggiorenti del partito. A cominciare da Massimo D’Alema, che con Walter ha un conto aperto sul piano personale sin dall’epoca della lotta per la successione ad Achille Occhetto alla guida del Pds. Ma anche Franco Marini, l’ex democristiano «gran signore delle tessere» messo nell’angolo da una leadership che mal sopporta qualsiasi tipo di condizionamento. E Francesco Rutelli, bruciato nelle ultime elezioni comunali a Roma, che non ha gradito il tentativo del vertice pd di scaricare interamente sulle sue spalle la responsabilità della sconfitta contro il candidato della destra, Gianni Alemanno. Quasi che Veltroni non avesse mai gestito il governo della capitale.Antiche e nuove rivalità personali che vanno ad aggiungersi ai conflitti su punti fondamentali della politica e del programma del partito. Conferma Gianni Pittella, giovane europarlamentare fra i più attivi e promettenti: «Rappresentare lo scontro all’interno del Pd come una lotta tra Orazi e Curiazi è fuorviante. La realtà è che, tra noi, esistono punti di divergenza politica molto forti, su cui bisognerà arrivare a un chiarimento». Diversi i nodi da sciogliere. A cominciare dalle alleanze: puntare sull’autosufficienza del Pd, la scelta veltroniana compiuta alla vigilia delle ultime elezioni politiche, o recuperare un rapporto con le altre forze della sinistra e con l’Udc di Pier Ferdinando Casini? Mantenere un legame con Antonio Di Pietro, rischiando di subire il condizionamento del suo populismo e giustizialismo, o rompere definitivamente con l’ex pm di Mani pulite? E poi, per citare un altro esempio, entrare a far parte della grande famiglia del socialismo europeo, come invoca l’anima diessina del partito, o restarne fuori, come chiede l’ala ex democristiana? E quale modello organizzativo, per il Pd: un partito centralistico, con una leadeship solitaria che si affidi esclusivamente ai messaggi mediatici, o un partito più strutturato e aperto alla dialettica tra le varie anime? Sono tutte questioni, secondo Pittella, ma anche secondo il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che hanno a che fare con l’identità stessa del Pd, problema che, a più di un anno dalla nascita, resta del tutto irrisolto. Non c’è più tempo da perdere, avverte Chiamparino: «Con gli appuntamenti elettorali che ci attendono la prossima primavera rischiamo di uccidere il partito nella culla». Un percorso di guerra quello che dovranno compiere il Pd e il suo leader nei prossimi mesi. Con scadenze che assumeranno inevitabilmente il sapore della prova definitiva. Innanzitutto le elezioni regionali in Abruzzo, fissate per il 14 dicembre. Poi, le amministrative e le europee della primavera 2009. A meno di una forte rimonta, nulla, al momento, lascia prevedere un’affermazione del Pd. Si conteranno i voti e, se ne mancheranno, si chiederà conto a Veltroni, nel congresso in programma per l’autunno dell’anno prossimo. Ma molti, all’interno dello stesso staff veltroniano, ritengono sin da ora che la spinta propulsiva dell’attuale leadership si sia virtualmente esaurita. Troppi errori, troppe oscillazioni, troppe incertezze, per sperare in una ripresa dell’attuale segreteria. Si pensa già alla sostituzione, nel congresso. Lo stesso Veltroni, è la notizia che filtra dai collaboratori stretti, avrebbe già designato il suo erede: Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, nonché fratello del televisivo commissario Montalbano, il popolarissimo Luca. Nicola nell’aprile scorso le elezioni le ha vinte; e c’è chi non manca di sottolineare con una punta di perfidia che, in città, ha preso anche più voti del candidato sindaco Rutelli. Raccontano che Zingaretti si stia già preparando alle future prove pubbliche frequentando corsi di dizione per migliorare qualche difetto di pronuncia. Dovrà vedersela quasi certamente con il candidato benedetto da D’Alema, Enrico Letta, già rivale di Veltroni nelle primarie di un anno fa. Il destino del Pd sarà dunque affidato al prossimo duello tra questi due giovani leader. Sembra davvero l’unico antidoto contro l’incubo di un big bang.