David Bidussa, Diario, 14 - 27 novembre 2008, 27 novembre 2008
David Bidussa, Annali di storia italiana ABBANDONATI IN TRINCEA Quello che La Russa non racconta della Prima guerra mondiale «L’Unità d’Italia», ha detto di recente il ministro della Difesa Ignazio La Russa, «è stata fatta con la Prima guerra mondiale
David Bidussa, Annali di storia italiana ABBANDONATI IN TRINCEA Quello che La Russa non racconta della Prima guerra mondiale «L’Unità d’Italia», ha detto di recente il ministro della Difesa Ignazio La Russa, «è stata fatta con la Prima guerra mondiale.» Davvero? Proviamo allora a raccontare una parte di quella vicenda che nessuno vuole ricordare. Per vedere da vicino quella guerra, occorre abbandonare il mito ed entrare nel fango della trincea. Per farlo ci serviremo di due lettere di soldati e prigionieri italiani (le riprendiamo dal volume di Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra, Bollati Boringhieri, 2000). La Prima guerra mondiale inaugurò la violenza e la morte di massa così come poi le abbiamo conosciute nel corso di tutti i conflitti del Novecento. La pelle dei soldati non valeva nella qualità della vita di trincea; non valeva per gli approvvigionamenti alimentari che arrivavano (o, per meglio dire, non arrivavano). Ma soprattutto non contava la sorte di quegli uomini. Lo dimostra significativamente il modo in cui, da parte italiana, i prigionieri vennero abbandonati a se stessi. Il principio era quello dell’«usa e getta». I soldati italiani fatti prigionieri furono seicentomila. L’esperienza italiana si distinse da quelle degli altri Paesi occidentali alleati, non solo per l’abnorme numero di uomini catturati, ma anche per quello ancora più impressionante dei morti in prigionia, dovuto, soprattutto, al comportamento dello Stato maggiore italiano. La condizione dei prigionieri di guerra fu contrassegnata, di fatto, dal rifiuto del Comando supremo di considerare quei militari ancora come soldati per collocarli e interpretarli, invece, come traditori che si erano arresi al nemico o si erano fatti catturare durante la rotta disastrosa di Caporetto. Così, ai prigionieri italiani non arrivavano pacchi di viveri a causa della costante opera di deterrenza e di sabotaggio da parte delle autorità militari italiane preposte al sovraintendimento dei soccorsi, nell’ambito della commissione internazionale di Berna. Alla commissione che si occupava del soccorso agli internati presero parte i rappresentanti militari di tutti i Paesi belligeranti ma, anche a guerra finita, l’opera di soccorso non sarebbe cresciuta. Anzi, quando i prigionieri vennero liberati, il generale Diaz chiese che fossero avviati verso la Libia e non fatti rientrare in Italia, perché li considerava ostili allo Stato maggiore conoscendo il precedente disinteresse dei vertici militari. Nell’esaltazione del ritrovato orgoglio della guerra vinta novant’anni fa, nessuno ha ricordato questa vicenda. Ma questa, oltre a essere parte della storia italiana, è anche uno dei tanti modi in cui gli italiani hanno conosciuto la «presenza dello Stato». Non fu un’eccezione, tanto che la stessa scena si ripetè nel 1945. A guerra finita, anche allora, i campi prigionieri, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, erano pieni di italiani. Ma anche allora lo Stato li abbandonò. Il rientro fu lento e comunque la diplomazia italiana – ancora fedele alla monarchia – fece di tutto perché il ritorno avvenisse dopo il referendum del 2 giugno. Erano in troppi a portare rancore per un regime e per il re che li aveva abbandonati a se stessi. Meglio che il loro voto non pesasse sul risultato finale del referendum. Anche questa è una storia che nessuno racconta. 10 gennaio 1916, zona di guerra Carissimi, Tanto per sfogarmi un poco della mia rabbia che o con quelli che Comanda le sercito ta l’iano che sono tutti villacchi. Sono Qui in trincea Giorno e notte in meso Al fango e il fuoco del cannone. Mi danno da mangiare una volta Al giorno. [...] Questa mattina abbiamo stribuito la marsala col... per scuadra e non ne Abbiamo Avuto Abastanza - Dopo un mesi chenon si vedono licuori e Ilvino Alla sera prima un quinto ogni 3 - dopo 40 giorni che non si vedeva che era come l’arsenicho da farmorire I topi II formaggio e tanto poco mi tocca fare un giorno per plotone. La cicalata una volta ogni 15 giorni 3 Castagne Alla settimana. Il tabacco sono 25 giorni che non danno più niente. Questa mattina an fatto un prelevamento A pagarlo una volta si pagava 3 soldi. I sigari ora invece 2 soldi perché siamo in guerra, Soldati In guerra stanno molto bene dice il Giornale I nostri soldati non ci manca niente, Invece di dire che ci manca tutto Quei villiuchi che Comanda lesercito Italiano, una volta si diceva dei briganti ora si vede gli Assasini - le barbarie che fanno questi sono barbarie villiuchhi chi Comanda lesercito Italiano, Se posso A venire in licensa una volta dopo 15 mesi di guerra e poi in Italia non mi vedranno mai più. 24 dicembre 1918, da Gefangenenlager Lazarett; Klein Wittenberg, an der Elbe Carissimo Emanuele, I prigionieri inglesi sono stati i primi ad essere rimpatriati, ed hanno lasciato Wittenberg il 12 corrente. Anche i russi sono stati mandati verso la frontiera russa. Rimangono nel campo i prigionieri di guerra francesi ed italiani. Di francesi ci sono circa 4.500 uomini. Domani parte il primo convoglio di 2.130 prigionieri. Insieme partono i pochi belgi del campo. Quanto a noi italiani ecco che cosa ti devo dire: siamo al campo Wittenberg circa 1.200 prigionieri. Il 12 e 13 dicembre sono stato a Berlino. Mi sono recato di mia iniziativa per conferire con la missione militare italiana (Hotel Adlon) allora arrivata a Berlino ed incaricata del nostro rimpatrio. Il capo missione generale Bassi era assente. Sono stato ricevuto dal colonnello di San Marzano, al quale ho fatto conoscere lo stato dei nostri prigionieri di Wittenberg, non avendo lo Stato italiano inviato né abiti né calzature durante l’anno di prigionia. necessario che in Italia i cittadini si rendano conto di cosa vuol dire essere prigionieri di guerra. Le condizioni dei nostri uomini sono miserabili. Mancano assolutamente tutti di abiti e di calzature. Ora quelli che ritornano dai lavori sono in condizioni pietosissime. I nostri prigionieri sono stati assoggettati ai lavori faticosissimi della miniera, dalle 6 del mattino atte 6 di sera con nutrimento insufficientissimo ed 80 pfenning al giorno. Questi uomini i che ritornano dai lavori non sono più uomini, ma fantasmi. Sono laceri, senza calzature, i tedeschi l’anno scorso toglievano ai nostri prigionieri le scarpe sostituendole con zoccoli di legno). Sono molto deperiti; molti torneranno in patria con la salute sciupata per sempre. Che il Governo s’interessi dei prigionieri di guerra italiani, che affretti il rimpatrio, perché l’inverno in Germania è molto rigido ed i nostri uomini sfiniti dalle fatiche e dalla fame cronica non hanno più nessuna resistenza di fronte al freddo, privi come sono di abiti e di scarpe.