Financial Times, 27 Novembre 2008, 27 novembre 2008
Continuano ad accendersi campanelli d’allarme sullo stato dell’economia cinese. Xu Zongheng , sindaco della città di Shenzhen (centro economico della zona altamente industrializzata del Guandong, l’area che ha trainato l’export cinese dal 1992 ad oggi) ha spiegato che dall’inizio dell’anno solo nella sua città hanno chiuso 682 fabbriche, lasciando senza lavoro 50 mila persone
Continuano ad accendersi campanelli d’allarme sullo stato dell’economia cinese. Xu Zongheng , sindaco della città di Shenzhen (centro economico della zona altamente industrializzata del Guandong, l’area che ha trainato l’export cinese dal 1992 ad oggi) ha spiegato che dall’inizio dell’anno solo nella sua città hanno chiuso 682 fabbriche, lasciando senza lavoro 50 mila persone. Di questa mole di disoccupati la maggioranza erano immigrati arrivati a Shenzhen da altre regioni cinesi, spiega il sindaco. La cosa non sorprende, dato che degli 8,6 milioni di persone che vivono e lavorano in quella città ai confini con Hong Kong, solo il 25% è classificato come ”residente permanente”. L’annuncio di Xu Zongheng ha confermato i timori per il rischio di una disoccupazione di massa che starebbe prendendo forma in Cina, una situazione che potrebbe generare rivolte sociali. Il rallentamento si sta facendo sentire sempre più pesantemente su Pechino: martedì la Banca mondiale ha tagliato la previsione di crescita cinese per il 2009 al 7,5%, portandola per la prima volta sotto quella soglia dell’8% che il governo ritiene necessaria a mantenere la situazione sociale sotto controllo.