Giuseppe Vacca, Il Messaggero 27/11/2008, 27 novembre 2008
GIUSEPPE VACCA PER IL MESSAGGERO DI GIOVEDì 27 NOVEMBRE 2008
SUBITO dopo l’arresto (8 novembre 1926) Gramsci scelse per comunicare col mondo esterno Tatiana Schucht e Piero Sraffa. Tatiana era sua cognata. Cittadina russa, risiedeva in Italia fin dal 1908. Gramsci l’aveva conosciuta i primi di febbraio del 1925. Avevano stretto un legame affettuoso e avviato una fitta collaborazione. Non iscritta ad alcun partito, tramite Gramsci Tatiana cominciò a lavorare come traduttrice e come dattilografa presso l’ambasciata Sovietica. Nel 1927 si iscrisse al partito bolscevico anche per assolvere meglio al compito di accudire il prigioniero: ne veicolava i rapporti con la famiglia russa, che risiedeva a Mosca, e con il governo sovietico. Piero Sraffa, emigrato in Inghilterra nel 1927, assicurava, attraverso la corrispondenza con Tania, i rapporti fra il prigioniero e il Centro estero del partito comunista, che risiedeva a Parigi. Tania Schucht e Piero Sraffa accudirono Gramsci fino alla morte, avvenuta nella clinica Quisisana in Roma il 27 aprile del 1937: due giorni dopo che, espiata la condanna, era stato rimesso in libertà. Da quando Gramsci fu trasferito alla clinica Quisisana, il 24 agosto del 1935, Sraffa ebbe modo di visitarlo più volte durante i suoi soggiorni in Italia, dove soleva trascorrere le vacanze in occasione del Natale, della Pasqua o in estate. Tatiana, invece, s’intratteneva a lungo con Gramsci quasi tutti i giorni e nelle ultime ore gli fu vicina ininterrottamente. Perciò le sue testimonianze sono le sole, fra quelle di cui disponiamo, che abbiano valore di documento, e non a caso la testimonianza più dettagliata è nella lunga lettera che Tania scrisse a Sraffa il 12 maggio 1937. La lettera, pubblicata più volte, è nota da più di cinquant’anni e la citeremo fra breve. Inedita, invece, è la lettera di Tania a Giulia (la moglie di Gramsci) del 5 maggio, nella quale le parlava della morte del marito. «Abbiamo perso Antonio», scrive Tatiana, ma non descrive le sue ultime ore né la morte perché Giulia era gravemente malata ed evidentemente non voleva aggiungere altre scosse allo shock provocatole dalla morte del marito. Si limita a commentare la foto che gli aveva fatto scattare subito dopo e scrive: «Guardandola potrai vedere che la morte improvvisa gli ha risparmiato le ulteriori sofferenze che avrebbe dovuto sopportare se fosse rimasto vivo dopo l’attacco che gli ha procurato una forte emorragia cerebrale».
Per contro la lettera a Sraffa, anche perché era destinata al Centro estero del partito, contiene sia un resoconto puntuale delle ultime ore di Gramsci, sia il racconto del tentativo di somministrargli l’estrema unzione. «Nino, scrive Tania, ha avuto l’emorragia cerebrale la sera del 25 aprile». Al mattino gli aveva portato «la dichiarazione dell’ufficio di sorveglianza che terminato il tempo della libertà condizionata veniva sospesa ogni misura di sicurezza» nei suoi riguardi. Poi era tornata alla clinica Quisisana verso le 5.30 del pomeriggio e aveva assistito alla sua cena. Subito dopo Gramsci fu colpito dall’emorragia cerebrale. Nella sera inoltrata gli fu applicato tardivamente un salasso, che però non ebbe alcun esito anche perché Gramsci era già «senza parola, con gli occhi chiusi» e il respiro «molto affannoso». Come la maggior parte delle cliniche romane, anche la clinica Quisisana era gestita da religiosi. Qui s’inserisce l’episodio riguardante il sacerdote addetto alla clinica e le suore che accudivano i malati. Il dottor Belock, che aveva operato il salasso, «fece capire alla suora che le condizioni del malato erano disperate. Venne il prete, altre suore, ho dovuto protestare nel modo più veemente perché lasciassero tranquillo Antonio, mentre questi hanno proseguito nel rivolgersi a Nino per chiedergli se voleva questo, quest’altro ecc. Il prete mi disse perfino che non potevo comandare ecc.». Alle 4,10 del 27 Gramsci si spense senza aver ripreso conoscenza e alle 5,15 le suore vollero «portare la salma giù in camera mortuaria». Dalla mattina del 27 era presente anche il fratello di Gramsci, Carlo, che sei giorni dopo il trasferimento della salma al cimitero del Verano, il 5 maggio, provvide alla cremazione. Ultimo particolare significativo, «siamo stati sempre circondati, scrive Tania, da una folla di agenti e di funzionari del Ministero degli interni».
Le testimonianze citate sono i soli documenti di cui disponiamo sulle ultime ore e sulla morte di Gramsci. Vi sono poi i fonogrammi dei funzionari della pubblica sicurezza alle rispettive autorità, ma parlano solo delle sue condizioni di salute e del decesso. Tranne la lettera a Giulia, i documenti citati sono noti da tempo e furono utilizzati per la più puntuale ricostruzione delle ultime ore di Gramsci di cui si disponga, che è ancor oggi contenuta nel libro di Paolo Spriano Gramsci in carcere e il partito, pubblicato nel 1977. Ciò non toglie che possano venire alla luce altri documenti finora sconosciuti ed è auspicabile che, per suffragare la voce della conversione di Gramsci in articulo mortis, rilanciata l’altro ieri, monsignor De Magistis li possegga o possa reperirli. Nel clamore suscitato dalle sue dichiarazioni mi è stato chiesto se dagli scritti di Gramsci si possa evincere una disposizione alla conversione. Gramsci aveva una grande considerazione delle religioni e una grande attenzione alla Chiesa di Roma. Ma non mi pare che in lui sia mai venuto meno il convincimento maturato da giovane che tratto distintivo dell’uomo moderno sia la capacità di vivere senza aderire ad una religione rivelata. Più in generale, per Gramsci le religioni sono concezioni del mondo e della vita munite di «un’etica conforme», e quindi costituiscono le forme di spiritualità più potenti per mobilitare e uniformare i viventi. Ma, così concepite, equivalgono a grandi correnti di pensiero che possono avere origine tanto religiosa, quanto filosofica. Infatti, Gramsci considerava la sua filosofia una «religione», ma in un senso molto determinato: in alternativa all’idealismo crociano, egli definiva la «filosofia della praxis» «una eresia nata sul terreno della ”religione della libertà”». Quanto alla chiesa cattolica, non mi pare che Gramsci abbia mai mutato il giudizio secondo il quale doveva essere considerata la potenza spirituale più efficiente dell’Occidente, volta, però, a ottenere l’obbedienza passiva dei credenti, non a promuoverne la libertà. Ad ogni modo, per quanto mi è dato capire la conversione si verifica per intervento della Grazia. l’incontro con la Grazia che può convertire un non credente e poco hanno a che fare con questo evento le opere e i pensieri che l’abbiano preceduto. Non credo, quindi, che si possa utilizzarli per affermare o escludere, teleologicamente, una predisposizione.
* presidente Istituto Gramsci