La vera Borgia? Un’acqua cheta di Maria Giulia Minetti, La Stampa, 27/11/2008, pag. 24, 27 novembre 2008
Certo, rispetto al suo «ritratto» più famoso, quello di Bartolomeo Veneziano che orna anche la copertina dell’appassionata biografia che le ha dedicato Maria Bellonci, questo ritratto senza virgolette, il primo autentico, a quanto pare, emerso agli antipodi, vale più d’ogni indagine storica a contraddire il suo mito venefico e sensuale
Certo, rispetto al suo «ritratto» più famoso, quello di Bartolomeo Veneziano che orna anche la copertina dell’appassionata biografia che le ha dedicato Maria Bellonci, questo ritratto senza virgolette, il primo autentico, a quanto pare, emerso agli antipodi, vale più d’ogni indagine storica a contraddire il suo mito venefico e sensuale. Vestita di nero con collaretta bianca ben stretta attorno al collo, capelli raccolti, placida posa di tre quarti, bocca imbronciata, naso puntuto, nessun gioiello, questa sconcertante Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara, dipinta - dicono le indagini capillari degli esperti della Victoria National Gallery, Australia - da Dosso Dossi sul finire della vita di lei (che fu breve: morì a 39 anni nel 1519), questa Lucrezia bruttina e intensa, tanto poco seducente da essere stata per secoli creduta un ragazzo, infligge un colpo durissimo a una leggenda che nessuna ricerca storica era finora riuscita seriamente a scalfire. Intendiamoci, quell’aria da acqua cheta, quella faccia smorta, quelle occhiaie scure non sono per nulla incompatibili con le peggiori sfrenatezze sensuali, i più turpi delitti, i più ignobili intrighi, ma propongono comunque un altro film, forse quello che aveva in mente Neil Jordan nel 2002, quando stava per girare la sua versione della storia di Lucrezia protagonista Christina Ricci, e viene quasi un brivido pensando al «sesto senso» del regista, a come quella scelta incongrua fosse invece la più giusta, la più vicina all’originale. Il film che tutti si aspettavano, però, sempre in quel 2002 denso chissà perché di evocazioni lucreziane, era quello auspicato e chiesto con insistenza da Monica Bellucci. Reduce da «Asterix e Obelix - Missione Cleopatra» la fulgida ragazza non era soddisfatta. «Il mio personaggio nasce da un fumetto», si lamentava col giornalista Valerio Cappelli. Lei invece voleva cimentarsi con la Storia: «Mi piacerebbe impersonare Lucrezia Borgia, sarebbe bellissimo». Biondo oro la figlia del Papa, bruna come l’ala del corvo Bellucci, ma sono quisquilie rispetto alla somiglianza fondamentale: donne meravigliose entrambe. Perché questo è il primo ingrediente della leggenda di Lucrezia Borgia: la bellezza. Quella bellezza che incanta i suoi tre mariti, anche il più restio, Alfonso I d’Este, terzo della serie e venuto dopo il morto strangolato Alfonso d’Aragona (strangolato da un fido del Duca Valentino, il potente fratello di lei, ma naturalmente la leggenda la vuole complice). Quella bellezza che incanta padre e fratelli (degli incesti familiari dei Borgia si favoleggiò subito, vivi e vispi i protagonisti). Quella bellezza che incanta gli «innumerevoli amanti», destinati peraltro a una fine atroce e a una sbrigativa eliminazione, secondo quanto ancor oggi raccontano i programmi di divulgazione culturale tv, irresistibile una puntata di «Voyager» rintracciabile su YouTube dove il conduttore Roberto Giacobbo eccita dottamente gli spettatori: «Secondo i racconti del tempo Lucrezia uccideva i suoi uomini per poi gettarli da un balcone… La sua arma era un misterioso anello che però non è mai stato ritrovato». Cosa c’è nell’anello? «Polvere di Cortinarius orellanus, conosciuto come fungo di Lucrezia; l’effetto è micidiale, uccide dopo 25 giorni…». E il lancio dal terrazzo? L’attesa si fa lunga. La tv è quella che è, ma non s’è inventata niente. A livello spettacolare, spettacolare in senso proprio di messinscena, di teatro, è Victor Hugo il primo divulgatore delle nefandezze. Dove ambienta il suo dramma «Lucrezia Borgia», scritto nel 1839? Fatevelo dire da lui: «Nel palazzo di Lucrezia a Ferrara, cioè nel palazzo del piacere, nel palazzo dell’assassinio, nel palazzo dell’adulterio, nel palazzo dell’infamia, nel palazzo del sangue». Terrificantemente romantica, questa Lucrezia Borgia è destinata a finire, se non nel fumetto, nel fumettone. Difficile, oggi, pensare a un personaggio meno contemporaneo della femme fatale tutta orgia e veleni. Per tornare a suscitare interesse, Lucrezia aveva bisogno di qualcuno che la spogliasse dei satanismi contemporanei e romantici e la raccontasse per quanto possibile come era, una principessa rinascimentale dalla vita complessa e contraddittoria. quello che ha fatto Maria Bellonci col suo libro ammirevolmente scritto nel 1939. E tuttavia la Lucrezia del libro resta dentro una cerchia ristretta, a vivere nell’immaginario dei più è la Lucrezia del cliché. Servirà la scoperta del ritratto, la sconcertante immagine di una Lucrezia tanto lontana dallo stereotipo a cambiare le carte in tavola? Chissà. Aspettiamo la prossima puntata di «Voyager».