"L’uomo cambia il razzismo resta" di Silvia Ronchey e Giuseppe Scaraffia, La Stampa, 27/11/2008, pagg. 38-39, 27 novembre 2008
SILVIA RONCHEY E GIUSEPPE SCARAFFIA PER LA STAMPA DI GIOVEDì 27 NOVEMBRE 2008
Lo sguardo dell’ospite si fissa su una parete mentre riflette. Noi torniamo a guardare le maschere tribali. «Le acconciature di piume si sono rovinate. Erano incollate con resina e cera. All’epoca in cui riportavo le mie collezioni si usava un tipo di disinfettante che dopo un po’ scioglieva le resine». Sembra una metafora di quello che è accaduto alle civiltà che Lévi-Strauss ha amato e studiato e che oggi sono state cancellate quasi interamente dall’espansione del modello nordamericano.
Lei è tornato in Brasile?
«Nel mio penultimo viaggio in Brasile, nel 1985, San Paolo era diventata una città spaventosa, con chilometri di torri di cemento».
La globalizzazione ha toccato anche la natura?
«Il fiume Tietê è moribondo. Non ho piú rivisto i Bororo, ma le acque che avevo impiegato giorni a risalire in piroga ora sono affiancate da una strada asfaltata. Volendo ritrovare la casa dove abitavo quando la città era ancora piena di vestigia coloniali, ho passato la mattinata bloccato nel traffico e non sono riuscito ad arrivarci».
quasi un luogo comune dire che il mondo si sta distruggendo. Un grande scrittore dell’Ottocento, Gobineau, parla della fine del mondo come di un’epoca invasa «dalla morte, in cui il globo, diventato muto, continuerà, ma senza di noi, a descrivere nello spazio impassibili orbite.
« una frase meravigliosa, davvero stupenda. Ma io non penso che quest’epoca sia vicina. L’astrofisica ha fatto progressi dal tempo di Gobineau, che forse pensava a una fine possibile nel giro di qualche migliaio di anni. Oggi pensiamo invece in termini di milioni, di miliardi di anni. Il che non toglie che la specie umana possa scomparire completamente».
Davvero?
«Non è affatto impossibile, né tanto meno inconcepibile. Varie specie animali, tra cui i dinosauri, sono scomparse cinquecento milioni di anni fa. Perché mai la specie umana non dovrebbe estinguersi completamente? Non credo che la cosa sia all’ordine del giorno. E però, non si sa mai».
Il millenarismo è tornato di moda con il movimento New Age di fine secolo. Si parla di un ritorno allo spiritualismo, di un revival della spiritualità anche nelle religioni tradizionali. Cosa ne pensa?
«Ma voi credete che tutto questo sia davvero nella coscienza della gente? No, è una trovata commerciale e giornalistica. Tutto qui. solo un gioco».
Un’altra cosa che si dice è che la fonte dei mali della società sia la tv. Bisogna spegnere la tv?
«No, non vedo proprio perché dovremmo. Io sono molto contento che la televisione esista».
Gobineau ci fa pensare al razzismo, di cui è stato un grande teorico. Oggi lo condanniamo risolutamente, com’è ovvio, ma, da antropologo almeno, pensa si possa imparare qualcosa dai suoi studi?
«Sí. Il razzismo si è reso colpevole di crimini cosí mostruosi che oggi si tende a schierarsi automaticamente dalla parte opposta, e a ragione. Ma un antirazzismo semplicistico finisce per dare piú armi al razzismo di quanto non si pensi, perché tenta di negare cose evidenti e di buon senso».
Di buon senso?
«Antropologi e genetisti sono unanimemente d’accordo nel dire che non esiste un destino particolare per ogni gruppo umano e che nessun gruppo è condannato dai suoi geni a perpetuare sempre gli stessi caratteri o gli stessi difetti, nel dire che tutto cambia col tempo. Ma concludere frettolosamente che tutti i gruppi umani sono identici e intercambiabili è assurdo e pericoloso, perché va contro il senso comune. Come ha affermato una volta l’Unesco, è l’evidenza dei sensi a indicarci che un nero dell’Africa non è identico a un indiano d’America o a un asiatico. Ciò che invece è necessario è respingere il razzismo in quanto dottrina biologica».
Cioè?
«Bisogna respingere la dottrina che sostiene che il patrimonio genetico di ogni gruppo umano è specifico e che da questo patrimonio derivano un certo numero di caratteristiche che gli apparterranno per l’eternità. I differenti gruppi che si dividono la superficie della Terra, per effetto della loro storia, delle loro condizioni di vita, delle idee che la loro religione o cultura hanno sviluppato, possiedono certe caratteristiche che forse non sono quelle che avevano un secolo fa, e che non sono certamente quelle che avranno fra un secolo. Il che non toglie che attualmente gli uomini siano lo stesso diversi gli uni dagli altri».
A proposito di diversità o affinità tra le razze, negli ultimi tempi lei si è occupato di quelle tra le specie e ha parlato spesso degli animali, di come sta cambiando la percezione che abbiamo di loro. Per esempio, quando è intervenuto sulla mucca pazza.
«Eh, sí, in Francia abbiamo parlato parecchio di vache folle, come l’abbiamo chiamata. In Italia per vostra fortuna ne siete scampati, mi pare. A quanto ne so non ci sono stati casi da voi, ed è stato piuttosto un problema di quattrini. Certo è tutto molto interessante per gli antropologi, che in qualche modo sono stati all’origine di questi problemi».
Gli antropologi? In che modo?
«La storia è questa. Intorno al 1950 venne scoperta in Nuova Guinea una malattia sconosciuta, ma chiaramente imparentata con il morbo di Creutzfeldt-Jakob, che era invece diffuso in Occidente. Sono stati gli antropologi a ipotizzare allora che la malattia potesse provenire da alcune pratiche di tipo cannibalico: le donne, manipolando i cervelli umani, sarebbero rimaste contagiate e avrebbero poi contagiato i loro parenti e in particolare i bambini. In effetti uno dei problemi del morbo di Kourou, da cui venivano colpiti gli antropofagi mangiatori di cervelli della Nuova Guinea, era proprio il fatto che interessava soprattutto donne e bambini».
L’introduzione di materiali umani nell’organismo umano è in effetti, a rigore, cannibalismo. La mucca pazza sarebbe dunque una sorta di nemesi del cannibalismo trasferito sugli animali?
«Negli Stati Uniti si aprí un ampio dibattito. Alcuni miei colleghi approfittarono dell’occasione per negare l’esistenza stessa del cannibalismo, fino ad affermare, provocatoriamente, che vi avrebbero creduto solo il giorno in cui qualcuno avesse potuto dimostrare che il morbo di Creutzfeldt-Jakob si sarebbe diffuso in giro per la Francia attraverso pratiche cannibaliche».
In Occidente non si pratica l’antropofagia, ma si mangiano gli animali. Ora, se definiamo cannibalismo l’introduzione di materiali umani nell’organismo umano, dobbiamo ammettere che attraverso questa compenetrazione si realizza anche la parentela. Dunque, seguendo un ragionamento antropologico, gli animali potrebbero diventare in futuro i nostri nuovi parenti?
«Sí, è una bella idea! Premetterei che nel pensiero degli indiani d’America, quelli che io conosco meglio, all’origine dei tempi gli animali e gli uomini non soltanto formavano un’unica famiglia, ma addirittura mancava una vera distinzione tra i due gruppi. Questa distinzione, e quindi anche la possibilità per gli uomini di cibarsi degli animali, è apparsa solo alla fine dell’età mitica».
E come?
«Si tratta di un processo non molto differente da quello che possiamo leggere nell’Antico Testamento. Anche nel Giardino dell’Eden - e quindi, all’origine dei tempi - Adamo ed Eva erano assolutamente vegetariani. Questo è un fatto molto curioso: l’uomo diventa carnivoro solo uscendo dall’Arca di Noè. dopo quella fase di intima convivenza che si è venuta a creare tra uomini e animali all’interno dell’Arca durante il Diluvio Universale, che i due gruppi si separano, ed è allora che Dio, Colui che può tutto, l’Onnipotente, dà il permesso, anzi quasi l’ordine, di nutrirsi di carne animale».
Vuol dire che la differenziazione nasce da un eccesso di intimità, forse da un rischio di confusione?
«E la questione successiva è quella della Torre di Babele. Alla separazione di uomini e animali segue quella tra gli uomini, che vengono separati dalla diversità delle lingue. Quindi, la vostra domanda in realtà è: si potrà ricostituire un giorno l’unità primordiale? Io lo vorrei, ma francamente ne dubito».