Giusi Fasano, Il Corriere della Sera 27/11/2008, 27 novembre 2008
GIUSI FASANO PER IL CORREIRE DELLA SERA DI GIOVEDI’ 27 NOVEMBRE 2008
«Stai zitto, assassino» L’urlo dei parenti in aula
DAL NOSTRO INVIATO
COMO – «Possiamo rimanere assieme quando in tivù leggeranno la nostra sentenza? ». Quasi avessero chiesto un bicchier d’acqua. Stesse aspettative: non può essere un no. Olindo e Rosa avrebbero voluto sedersi l’uno accanto all’altra, sì. Lui e lei davanti alla televisione ad ascoltare la voce del presidente Bianchi mentre li condannava all’ergastolo. stata una sorpresa sentirsi dire «non è possibile », il dispiacere inatteso del loro giorno del giudizio perché il carcere a vita, invece: quello lo avevano messo in conto.
Ecco il motivo del rientro in cella, ieri mattina. Non erano gli insulti probabili del pubblico né gli eventuali scatti d’ira dei parenti delle vittime a suggerire di non essere in aula per la sentenza. Non hanno voluto aspettare nella gabbia della corte d’assise perché confidavano di farlo insieme in carcere, mano nella mano come sempre. «Uniti nella buona e nella cattiva sorte », «finché morte non ci separa », appuntò Olindo fra altre mille citazioni, fotografie, ritagli incollati nella bibbia dei «pizzini», quella che gli fu sequestrata dopo i primi mesi di detenzione. Annotazioni in gran parte per Rosa, lettere d’amore per la sua «sposa», amata «più della vita».
Olindo l’ha detto anche ieri: «Io e la Rosa ci amiamo come il primo giorno, quel giorno che ci siamo sposati, che ci siamo uniti in matrimonio. Allora, come oggi, io per lei farei qualsiasi cosa, come lei la farebbe per me». Qualsiasi cosa, anche morire se casomai non fosse più possibile vedere la sua «sposa», il più grande di tutti i timori.
Una destinazione in carceri diverse (a Como non possono più restare) potrebbe rendere difficile i trasferimenti per organizzare i loro incontri che, in quel caso, non sarebbero più così frequenti come adesso al Bassone, dove si vedono ogni giovedì pomeriggio per un’ora. Oggi è il giorno buono. Olindo e Rosa si troveranno nella sala colloqui, si terrano per mano come ogni volta, si incoraggeranno l’un l’altra con parole da innamorati. Ora da ergastolani, sì, ma con la certezza (come vanno dicendo agli agenti e agli assistenti carcerari da giorni) che non lo saranno davvero per sempre: «In appello sarà tutto diverso, dimostreremo la nostra innocenza ».
Sarà così ma intanto sono tutti e due guardati a vista. Si teme il crollo psicologico soprattutto per Olindo. La dottoressa Mercanti, psicologa del carcere, aveva detto ai giudici nella sua deposizione in aula che lui era un soggetto potenzialmente a rischio e che aveva espresso propositi suicidi annunciando però che sarebbe stato «buono almeno fino alla sentenza».
Adesso che la sentenza c’è e in attesa della nuova chance d’appello, Olindo e Rosa vivono soltanto per aspettare il giovedì pomeriggio, «per aiutarsi », come ha detto lui ieri: «Se oggi siamo qui, siamo qui perché quella mattina del 10 gennaio (quando confessarono,
ndr), trasportati, indotti nella disperazione, confusi, smarriti, soli, ci siamo aiutati a vicenda; sì, ci siamo aiutati a vicenda. Sbagliando, ma ci siamo aiutati a vicenda».
I mostri di Erba rivendicano umanità: «Noi non siamo quelli che ci hanno descritto siamo persone, esseri umani. Quella tragica sera, ha cambiato la vita di tante persone, ma anche la nostra. Un cammino di sofferenza di solitudine; questo aspetto non l’ha mai considerato nessuno». Ma nessuno, salvo i loro avvocati, sembrava ascoltare quel