Elena Stancanelli, la Repubblica, 27/11/2008, 27 novembre 2008
ELENA STANCANELLI PER LA REPUBBLICA DI GIOVEDì 27 NOVEMBRE
Alessio "Legionarius" Sakara è nato a Roma il 2 settembre 1981, segno zodiacale Vergine. Parla quattro lingue, vive tra Rio de Janeiro, Miami e Acilia, è alto 1,87 e pesa 85 chili. «Ma quando sto in Italia, tra lasagne fettuccine e dolci, arrivo anche a cento. Non sono uno fissato con il corpo», mi spiega. «Se non devo combattere, mangio. Ma quando comincio ad allenarmi sparisce tutto e riappare la tartaruga, il bassorilievo di muscoli addominali». Lo incontro nella palestra Body Fight, in via del Mandrione, a Roma. Dove si allena, e dove ha appena tenuto uno stage: "Usque ad finem". La stessa citazione tatuata da qualche parte del suo corpo. Sul braccio, insieme a molte altre cose, ha invece il volto del suo cane Titus (un bull terrier). Quando Alessio solleva i pesi, il muso di Titus si gonfia e si sgonfia come se respirasse.
Tra qualche giorno Legionarius partirà per Miami. Lì, bevendo fino otto litri di acqua al giorno, e con un dieta a base di carni bianche e verdure bollite, perderà 15 chili e si allenerà per sei ore al giorno, ogni giorno. Non tornerà in Europa fino al 21 febbraio 2009, data della suo prossimo incontro: Londra, Arena 02.
Tappa inglese dell´americanissimo Ultimate Fighting Championship (Ufc). Nato nel 1993 a Los Angeles, sorta di Champions League di uno sport estremo chiamato Mma (Mixed Martial Arts). Lotta a mani nude, ispirata al Vale Tudo brasiliano, nella quale due maschi, scalzi e protetti soltanto dalla conchiglia, si affrontano su un ring. A parte i morsi, le capocciate e le dita negli occhi, tutto il resto è permesso. Se l´avversario finisce a terra si continua, se sanguina come un vitello si continua. Al povero Chris Leben, un energumeno coi capelli color rosso Ikea, hanno dovuto dare trentotto punti sulla faccia dopo un incontro con Legionarius. Meglio è andata a Joe Vedepo, steso come un cencio con un calcio sotto l´orecchio. Alessio Legionarius Sakara è classificato tra i primi dieci al mondo nella sua categoria, pesi Medi, ed è un superstar dell´Ufc. Considerato che l´Mma è il secondo sport più popolare degli Stati Uniti dopo il football, che i combattimenti sono veri e propri eventi televisivi, che tra il pubblico capita gente come De Niro o Brad Pitt, si capisce che tipo di notorietà può avere Alessio da quelle parti. Ormai combatte non più di due volte l´anno (ma la preparazione, come dicevamo, richiede almeno due mesi). Gli ingaggi, ai suoi livelli, hanno cifre da calciatore di serie A: per un incontro, si va dai trecentomila dollari al milione.
Il suo nome, Sakara, è di origine egiziana. Legionari romani di stanza nella provincia romana d´Africa, dice lui. Il padre di Alessio se n´è andato di casa quando lui aveva 12 anni. Fine dei rapporti. Esplode la rabbia cieca e incontenibile. Quella dei ragazzini sperduti, identici in ogni parte del mondo, da Columbine a Pomezia, dove Alessio trascorre infanzia e adolescenza. Una generazione di maschi allevati dalle donne. Adorate, come Alessio adora sua madre Maura, ma donne. Alle quali non si può chiedere cosa fare della violenza, della potenza dei muscoli mista al furore e al senso di ingiustizia, degli ormoni che esplodono. Molti di questi ragazzini finiscono male, ma Alessio è fortunato, e il destino gli fa incontrare Silvano Falloni. Un personaggio che sembra uscito da un film di Clint Eastwood, un uomo speciale che adesso ha 85 anni e vive a Torvajanica. Silvano Falloni diventerà il suo allenatore di boxe, il suo maestro, un padre vicario. lui che gli dà da leggere i libri di filosogia antica. Ho chiesto ad Alessio se il film "Figth Club", con Brad Pitt ed Edward Norton fosse tra i suoi miti. Lui ha fatto una smorfia. «I miei miti sono Plutarco e Seneca», mi ha risposto. «Sono innamorato della filosofia».
A tredici anni Alessio, sotto la guida di Silvano Falloni inizia a combattere, e vincere. A quattordici lascia la scuola e inizia a fare tutti i lavori che capitano, dal gommista al cameriere. E intanto combatte, e combatte. della stessa generazione di Clemente Russo, medaglia d´argento alle Olimpiadi di Pechino, e combatte e vince anche contro di lui.
Ma non si ferma. Alessio corre, sempre. Anche quando parla è difficile stargli dietro. Ha addosso una febbre che deve essere stata la sua condanna prima di diventare la sua più grossa dote. Una passione per tutto. Per i cani, per i tatuaggi che il suo amico di TattaTutto gli ricama sul corpo con pazienza, ma anche per gli allenamenti che riprende troppo presto e il sudore si porta via l´inchiostro. A diciassette anni parte per la Colombia. Se ne sta cinque mesi a Medellin, a combattere come pugile. Al ritorno, il suo amico Marco sarà sensale del suo secondo incontro col destino. Ma questa volta si tratta di una videocassetta.
Sono i primi incontri dell´Ufc. C´è un tizio, un brasiliano, tale Royce Grace, che è il più piccolo e il più leggero di tutti. Uno che non gli daresti due lire, ma quando combatte non ce n´è per nessuno. Alessio si innamora della sua tecnica, prima ancora di conoscerne il nome. Poi scopre che si tratta del Ju Jitsu brasiliano, derivato dal suo omonimo giapponese, a sua volta modellato sul judo. Un´arte di difesa personale basata sulla lotta a terra, la cui tecnica consiste soprattutto nello sfruttare la forza dell´avversario opponendosi ai colpi in maniera cedevole. Il suo nome originale è Hey Yo Shin Kore Do, il morbido vince il duro. Alessio ne parla con l´unico brasiliano che conosce, un ragazzo che lavora con lui nella Security del Palacavicchi. Quel ragazzo è cintura nera di Ju Jitsu. Comincia ad allenarsi con lui. Qualche mese dopo vende la sua moto e parte per Rio de Janeiro.
«Trovai subito la palestra che cercavo - mi racconta - e iniziai ad allenarmi come un pazzo. Facevo tutti e tre i turni, mattina pomeriggio e sera. E per mantenermi combattevo come pugile. Il mio nome cominciava a girare, pure troppo. Tanto che un giorno i ladri mi aspettarono sotto casa e mi puntarono una pistola alla testa. Mi fecero salire e mi portarono via tutto quello che avevo guadagnato. Ancora una volta mi salvarono i miei cugini, Marco, un altro Marco non quello della cassetta, e Valerio, che dall´Italia mi fecero arrivare un po´ di soldi per ripartire». «Nel frattempo - continua - avevo conosciuto i due gemelli Nogheira, Minotauro e Minotouro, allievi di Ricardo de La Riva e miti del Ju Jistu brasiliano. Mi chiesero di fargli da sparring in piedi, e diventarono presto amici, oltre che maestri. Con loro feci i primi combattimenti di Mma».
«Durante il mio primo incontro importante, a Manaus, in una gara chiamata Jungle Fight, fui notato dagli organizzatori dell´Ufc e invitato a partecipare. Andai a Miami, e da lì è cominciata la mia carriera americana», spiega. «Combatterò ancora per un bel po´ - prosegue - perché mi piace. L´apice della carriera di un lottatore è tra i 32 e i 38 anni, quando, oltre a essere forte, hai anche esperienza. Poi smetto. Voglio aprire un ristorante a Roma, con la mia fidanzata, Adele, detta la Spartana. Per adesso, insieme al terzo Marco della mia vita, ho una ditta, la Legionarius Red Wine, con la quale esporto negli Stati Uniti vino italiano, Montepulciano, Merlot e Sangiovese, e un´altra di abbigliamento, la Legionarius Fight Wear».
«Perché Legionarius?», gli chiedo, andandomene. «Perché gli americani mi chiamavano Gladiatore. Ma i gladiatori erano schiavi. Io sono un legionario».