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 2008  novembre 26 Mercoledì calendario

ARTICOLI DEL CORRIERE DELLA SERA SULLA STRAGE DI COMO


GIUSI FASANO, 14 NOVEMBRE 2008

COMO - «Non la scorderemo mai, noi che l’ abbiamo vista. Non dimenticheremo questa donna che si alza dalla sedia e mima come ha accoltellato il bambino». Rosa Bazzi è nella gabbia, a due passi dal pubblico ministero Massimo Astori che sta parlando di lei. Eppure la Rosa Bazzi che tutti vedono, adesso, non è dietro le sbarre. una donna che si muove al buio, nella casa della strage di Erba la sera dell’ 11 dicembre di due anni fa. Sembra di vederla. Percorre il lungo corridoio, raggiunge il piccolo Youssef, lo afferra per i capelli e gli infila il coltello nella gola, dal basso verso l’ alto, con la mano sinistra: «Così», mima lei (mancina) nell’ interrogatorio della confessione che poi ritratterà. Youssef aveva due anni e tre mesi. Per il suo omicidio, per quello di sua madre Raffaella Castagna, per quella della nonna Paola Galli, per il massacro della vicina di casa, Valeria Cherubini, il pubblico ministero ieri ha chiesto l’ ergastolo dei due imputati, Rosa e suo marito Olindo Romano e l’ isolamento per tre anni. Fine pena mai, propone Astori alla Corte d’ assise di Como, «perché in questo processo è emersa la ferocia e alla ferocia si risponde con l’ ergastolo». «Preparatevi. Oggi faremo un lungo viaggio nell’ orrore» esordisce il pm. Sono le nove e un quarto. Saranno sette ore di ricostruzione in un silenzio da tagliare a fette: parole, filmati, intercettazioni, fotografie, analisi scientifiche. Astori piazza le caselle del suo puzzle senza alzare mai la voce. Nel suo disegno, alla fine, la ritrattazione degli imputati vale meno di niente. «Nella nostra ricostruzione - scandisce - non ci sono frutti avvelenati dalla suggestione, dalla coincidenza, dall’ errore. Ci sono prove, soltanto prove». Il pubblico che riempie il fondo dell’ aula non osa nemmeno un bisbiglio mentre lui rimette in fila orari e spostamenti delle vittime e dei presunti assassini; si sente il respiro fra una parola e l’ altra mentre elenca il numero di coltellate e di sprangate servite per quella carneficina: 76 colpi in tutto, prima Raffaella, poi sua madre Paola, poi Youssef e infine la signora Valeria (solo per lei 34 coltellate e otto sprangate). E il silenzio si fa più silenzio quando sullo schermo compare il marito di Valeria, Mario Frigerio, il solo sopravvissuto alla strage, accoltellato alla gola e abbandonato in un lago di sangue perché creduto morto. la registrazione con la quale accusò per la prima volta Olindo Romano, con un filo di voce quasi impercettibile perché la coltellata gli ha leso le corde vocali. Frigerio dice che «sì, sono sicuro, sicurissimo. Era Olindo» e poi piange. I suoi figli, Elena e Andrea, sono in aula. Risentono lui, a tratti le loro stesse voci, e il ricordo torna a quel giorno (era il 26 dicembre 2006). Elena piange, suo fratello abbassa gli occhi. Il pm parla di «uno dei più feroci atti criminali che la storia ricordi», dice che «più che confessioni, quelle di Olindo e Rosa sono rivendicazioni, come si trattasse di un’ azione giusta dopo un’ ingiustizia subita», ricorda i litigi infiniti (il movente) fra gli imputati e la famiglia di Raffaella, attacca la difesa e i suoi consulenti, espone le «prove certe». E conclude: ergastolo. Dal pubblico parte un applauso che il presidente congela con un cenno di mano. Ora dal pubblico si levano le parole represse per ore: «Metteteli dentro e buttate via le chiavi». G. Fas.

GIUSI FASANO, 20 NOVEMBRE 2008

COMO - «Niente... Io volevo dire che sono rimasto un po’ indietro nel tempo». Comincia così, Olindo. «Niente», attacca. Come sempre. Ieri l’ ex netturbino di Erba ha annunciato che proprio per quei vuoti di memoria «nell’ ultima deposizione ho tralasciato tre argomenti che vorrei concludere oggi, con ritardo, ma vorrei concludere». Ecco la sua dichiarazione integrale su quei tre punti da chiarire alla Corte: «Uno riguarda il professor Picozzi (il criminologo Massimo Picozzi, consulente nominato dal vecchio difensore di Olindo e Rosa, ndr) il secondo la Bibbia (quella che gli fu sequestrata in cella, zeppa di appunti, disegni e ritagli poi usati come elementi d’ accusa, ndr) e poi, il terzo gli psichiatri». Rosa lo guarda dalla gabbia degli imputati, i gomiti sulle ginocchia, le dita incrociate davanti alla bocca e i due pollici alzati a dargli l’ ok. Il mostro di Erba «Per quanto riguarda la Bibbia... niente, la Bibbia praticamente si posiziona in un contesto in cui io, noi, anzi parlo al singolare perché l’ ho scritta io, non mia moglie, dicevo: si posiziona in un contesto dove avevo appena fatto una confessione». Olindo sta parlando dei «pizzini», come ormai tutti chiamano le frasi scritte o incollate sulla Bibbia. Il pubblico ministero Massimo Astori nella requisitoria aveva detto che in quei pizzini c’ erano di parole di «odio» e di «rabbia» verso la famiglia Castagna. «Io mi ero dichiarato pentito. In carcere agli occhi degli agenti, agli occhi dei detenuti e di chiunque arrivava, di tutti, io ero il mostro di Erba. Pentito, certo, ma sempre il mostro di Erba. (Con alcuni degli assistenti e degli agenti penitenziari fu lui stesso a presentarsi così: «Piacere, sono il mostro di Erba», ndr). Di conseguenza gli scritti sulla Bibbia sono in linea con il mio pentimento - ragiona Olindo -. vero quello che è stato detto l’ altro giorno, che alcuni sono stati scritti con rabbia: sì, lo ammetto, alcuni sono stati scritti con una punta di rabbia. Era un modo come un altro per sfogarsi. Però non è vero che io, negli scritti, volessi rivendicare qualcosa. Questo no. Questo assolutissimamente no. Non volevo rivendicare proprio niente. Era, si può dire, uno sfogo e un passatempo, visto che in carcere uno non ha nulla da fare. E per la Bibbia la cosa semplicemente finisce qui». La fiducia tradita Nel capitolo dedicato al professor Picozzi, Olindo, anche se non lo dice espressamente, fa sapere che non doveva andare così. Che le conversazioni con il criminologo dovevano rimanere segrete. «Per quanto riguarda il professore Picozzi, c’ è stato mandato dal nostro ex avvocato, l’ avvocato Troiani (in realtà Troiano ndr.), per fare su di noi una perizia psichiatrica. Io con lui ho avuto tre sedute, la terza è durata sì e no mezz’ ora. Nella prima seduta la prima cosa che mi ha chiesto è stata se poteva riprendermi con la videocamera, una piccola videocamera. A che serve? Cioè, io gli chiesi a cosa serviva e lui mi rispose che quella videocamera serviva esclusivamente per redigere la mia valutazione psichiatrica, che non sarebbe in nessun modo finita né in televisione, né sui giornali, né in nessuna altra parte». «Rassicurato da questo, io acconsentii ad essere ripreso. Per quanto riguarda invece le riprese, non facemmo altro che riordinare le nostre confessioni, cioè la mia confessione che avevo fatto, ripercorrendola ed immedesimandomi nel personaggio. Tutto qui. Tre sedute e poi non l’ ho più visto. La stessa cosa che ha fatto poi con mia moglie. Per quanto riguarda il professore questo è quello che ho da dire». Gli psichiatri Olindo prepara la strada alla richiesta di una eventuale perizia psichiatrica. Fa capire alla corte che, per quanti colloqui abbia avuto in carcere con esperti diversi, nessuno ha mai valutato davvero il suo profilo psichiatrico, né quello di sua moglie. «Niente, per quanto riguarda gli psichiatri del carcere ne sono passati... ne ho cambiati tre. Con tutti e tre non ho avuto altro che degli incontri, in tutto cinquanta-sessanta incontri come ha detto il pm, ma solo ed esclusivamente per la terapia. Noi non abbiamo mai parlato della questione... niente... dei fatti ne ho parlato, ma con la psicologa. Con la psicologa, la dottoressa Mercanti sì, ho parlato di quello che era successo e di tante altre cose. Ma con gli altri del carcere, con gli psichiatri del carcere, noi, cioè io, non ho mai parlato di altro che della terapia». «Ecco, questi erano i tre argomenti che l’ altra volta io, purtroppo non ho una buona memoria, ho dei vuoti di memoria, mi sono dimenticato di dire. Io con questo concludo. Concludo così, non voglio dire altro». la sua ultima parola in questo processo di primo grado. Olindo torna nella gabbia da Rosa. E lei: «Sei stato proprio bravo». Giusi Fasano


GIUSI FASANO, 25 NOVEMBRE 2008

COMO - Fabio Schembri ingoia saliva e voglia di fumare. Deve dire un’ ultima cosa prima di agguantare il pacchetto di sigarette e uscire dall’ aula. «Ricordatevi - conclude - che si chiama Olindo Romano, è nato ad Albaredo per San Marco, ha fatto l’ alpino, e questo sì lo rivendica, ricordatevi che ama la sua sposa Rosa sopra ogni cosa ma, soprattutto, che è innocente». «Innocenti» ripeteranno poi Luisa Bordeaux ed Enzo Pacia, gli altri due avvocati dei «mostri di Erba». Olindo Romano e sua moglie Rosa Bazzi sono accusati di aver ucciso, la sera dell’ 11 dicembre 2006, Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la madre Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini. Il marito di Valeria, Mario Frigerio, si salvò, soltanto perché creduto morto, e oggi è il teste-chiave dell’ accusa. Per i due imputati il pm Massimo Astori ha chiesto l’ ergastolo e tre anni di isolamento. Ma ieri era il giorno della difesa, il giorno di Olindo e Rosa. Sette ore di arringa per tentare di convincere la Corte d’ assise di Como che «queste due creature le hanno travestite da lupi» (Pacia); che sono così palesemente estranei alla strage da non aver «nessun bisogno di urlare la loro innocenza»; che «siamo stati derisi, dileggiati perché provavamo a difenderli» (Schembri). Rosa ascolta i suoi avvocati e piange. Si volta verso il muro per non regalare lacrime alle telecamere quando Pacia ricostruisce la sua vita di «donna piccola come una bambola e fragile dentro». L’ avvocato ricorda che la madre di lei aveva detto prima di morire: «Rosa potrebbe essere stata violentata da un parente, forse uno zio, all’ età di 11 anni». E lei piange, stavolta voltata verso l’ aula, con gli occhi puntati in direzione del nulla. «Vi sembra la erinni descritta in questi due anni?» chiede Pacia. Sette ore per contestare ogni punto dell’ inchiesta, per contare «243 errori» nella confessione poi ritrattata dai due e ritenuta «indotta» e «illegittima», per ripetere una volta di più che «Frigerio è un teste a discarico degli imputati perché nel suo primo interrogatorio disse del suo aggressore "non lo conosco, non è di qui"». Per dire che la macchia di sangue di Valeria Cherubini sull’ auto di Olindo potrebbe averla portata uno dei carabinieri presenti quella sera nella corte di Erba. Tutto, nella ricostruzione dei tre difensori, porta alla strage per vendetta commessa da extracomunitari: persone che si sarebbero vendicati di qualcosa nei confronti di Azouz Marzouk, il marito tunisino di Raffaella Castagna e padre di Youssef, oggi in carcere per droga. Tesi che, secondo Schembri, sarebbe sostenuta da due testimoni non sentiti in dibattimento: «Questi due testi avevano parlato di due extracomunitari visti vicini alla corte mentre gesticolavano con il telefonino e ce n’ era un terzo che cercava di raggiungerli». E ancora, si chiedono i difensori di Olindo e Rosa: «Come hanno fatto i due imputati, lordi di sangue, a rifugiarsi nella loro lavanderia, cambiarsi, mettere tutto in un sacco e uscire nel giro di 5 minuti?». Infine le richieste: l’ assoluzione, certo. E come seconda chance la perizia psichiatrica. Ci sono anche tre accertamenti tecnici richiesti «in estremo subordine». Il primo: l’ esperimento sulla tenda a casa di Valeria Cherubini per dimostrare che il buco nel tessuto è di una coltellata e che quindi lei è stata colpita in casa, non sulle scale vicino al marito Frigerio, come ricostruisce l’ accusa. Il secondo: una perizia fonica sulla deposizione di Frigerio quattro giorni dopo la strage per capire quali parole pronunciò esattamente. L’ ultima: una prova (spostamenti umani nella casa della strage) per ricostruire i rumori che la siriana del piano di sotto sentì circa due ore prima del massacro. Il figlio di Mario Frigerio, Andrea, ieri era in aula come sempre. «Doveva essere la giornata dei dubbi - ha commentato - ma per me è la giornata delle certezze, quelle dei sentimenti che ho nei confronti degli imputati. Non so come si possa sostenere che sono innocenti o, se colpevoli, dei pazzi. O sono innocenti, o pazzi, entrambe le cose è impossibile». Domani la sentenza. Giusi Fasano Volti e gesti

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