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 2008  novembre 24 Lunedì calendario

Sospettato da un paio d’anni d’essere un gioiello fasullo, o uno di quei tiepidi bamboccioni italiani inibiti da vizi atavici a sopravvivere nella giungla dello sport professionistico, Andrea Bargnani sta cominciando a infilare partite da venti punti, per i Toronto Raptors, nel celebre ed impervio campionato Nba

Sospettato da un paio d’anni d’essere un gioiello fasullo, o uno di quei tiepidi bamboccioni italiani inibiti da vizi atavici a sopravvivere nella giungla dello sport professionistico, Andrea Bargnani sta cominciando a infilare partite da venti punti, per i Toronto Raptors, nel celebre ed impervio campionato Nba. Troppa roba, e troppo spesso, perché qualcuno te la regali. Ha 23 anni, cioè pochissimi, è alla sua terza stagione americana, che sono poche pure queste, per capire come gira: il basket, ma anche la vita fuori campo, o quel pò che ne resta, nei ritagli di una stagione che spreme i suoi omoni con un centinaio di partite all´anno. «A Toronto - racconta -, mi sono abituato pian piano a sentirmi a casa. Mi piace tutto della città: il palasport, il pubblico, il fatto che sia piena di italiani e di luoghi dove mi sono abituato ad andare. Mi piace la vita che riesco a farci, anche al di fuori degli allenamenti. O delle trasferte, che rimangono dure, solo alberghi e palazzetti, voli e aeroporti, mai il tempo di vedersi qualcosa in giro». La scoperta del’America, se ci vieni per questo gioco, la fai pochissimo per volta. Lui, Andrea detto il Mago, romano, c’era arrivato, nell’estate 2006, come primissima scelta, che è un´etichetta più pesante di un´armatura medievale. Il miglior giovane arruolato dai "pro" non può permettersi di sbagliare nulla, dai saluti entrando nell’arena ai tiri ai rimbalzi, e il club che ci punta pure, per non farsi la reputazione d’essersi lasciato infinocchiare, o quella, nel suo caso, d’aver ceduto a padrinaggi pelosi. Per portarlo in Canada aveva spinto Maurizio Gherardini, l’ex bancario di Forlì che era stato il suo general manager alla Benetton Treviso, prima di diventare il primo boss italiano in un club Nba. Obbligato a sfondare, il romano più alto del mondo andava invece avanti a strattoni: partite buone, poi altre pessime, finché quest´anno il suo grafico s´è stabilizzato sul buono, e l´altra notte è arrivato pure il record in carriera: 29 punti segnati ai New Jersey Nets, un bottino vero, anche se i suoi Raptors sono stati battuti, al supplementare, per una micidiale ingenuità difensiva. La partita prima Bargnani ne aveva fatti altri 24, ieri sera, nella sconfitta contro i campioni in carica di Boston, s´è fermato a 14. «Sì, qualcosa è cambiato - racconta lui arrotolando fettuccine al tavolo d´un ristorante italiano, dove pranza nel giorno di riposo con Toto Ricciotti, il suo agente, che una volta al mese vola di là a trovarlo -. E non è cambiato solo il mio ruolo in campo, che pure è importante. Ora mi impiegano spesso da ala piccola, e vuole dire che ho più spazio da titolare in quintetto, senza doverlo levare a Bosh e a O´Neal, le stelle della squadra. Ma è cambiata pure la fiducia di allenatore e compagni, ora che mi sento, al terzo anno di Nba, più maturo che al primo». A 23 anni si è più svegli che a 21, e pure con 8 chili in più addosso, messi su in estate lavorando duro, si fa meglio a sportellate in una lega che premia i forti e i duri. Pure la favella è migliorata: dalle poche frasi spiccicate per obbligo nei suoi primi giorni americani (la Nba costringe a parlare coi giornalisti per norma contrattuale, e quell´esotica novità fu subito spolpata viva) al piacere, oggi, di raccontarsi in campo e fuori. «Che gioco meglio lo si vede, e non è vero, come dice qualcuno in Italia, che mi danno pochi palloni: l´altra sera ho sbagliato due tiri decisivi nel supplementare, ma li ho tentati e dunque in questa squadra mi sento bene. Non la lascerei per nessun´altra nella Nba, così come voglio restare a Toronto, dove ora m´ha raggiunto mio fratello Enrico, che ha tre anni meno di me e qui studia al college. Viviamo insieme, mamma insegna e viene quando non c´è scuola: l´aspettiamo per Natale. E anche papà fa un salto quando il lavoro glielo permette». Di genitori separati, a fare il professionista e a vivere fuori di casa Andrea non ha certo iniziato con la Nba: Treviso non è un luogo di minacciose e gelide skylines, ma via da Roma lo portarono sedicenne, quando il pane quotidiano dei canestri aveva i libri per companatico, ma a contare davvero erano i canestri. In pochi mesi del 2006, l´Italia gli diede uno scudetto con la Benetton e l´America la prima scelta di tutti i club. Bei soldi, oltre la gloria: dai Raptors Bargnani piglia quest´anno 5.176.440 dollari, esatti al centesimo, in un sistema che ha paghe pubbliche e fissate a tabella. In Canada è alla sua terza stagione, il club ha già fatto valere l´opzione contrattuale sulla quarta, ma non sono stati tutti momenti così zuccherosi, né filotti di partite ricche Dubbi che fosse l´uomo sbagliato se n´erano insinuati tanti. In loro e in lui. «Ho avuto giorni difficili, ma non ce n´è mai stato uno in cui mi sono detto: non ce la faccio, questo mondo è troppo duro per me. So pure che torneranno, che i conti si faranno a fine stagione, anche se ho infilato qualche partita buona. Dicono che ho cambiato faccia? Vero, mi sento più sereno, motivato, sicuro di me. Gli ultimi tre mesi dell´altra stagione furono davvero difficili. Non mi divertivo più. Poi non stavo bene. Ho fatto due operazioni al naso, al San Raffaele di Milano col professor Bussi, un uomo che ringrazio ancora. Respiravo male, m´ha raddrizzato il setto e sistemato le adenoidi, che ostruivano più di due terzi delle vie. Io lo dicevo che avevo problemi, non so se sospettassero che erano scuse, so che è vero che mi ammalavo spesso e m´allenavo male. Quest´anno, in estate, non mi sono mai fermato, ho lavorato duro e adesso vado forte anche per questo». WALTER FUOCHI PER LA REPUBBLICA DI LUNEDì 24 NOVEMBRE 2008