Andrea Scanzi, la Stampa 26/11/2008, 26 novembre 2008
Negli Stati Uniti hanno Obama, in Spagna Zapatero, in Italia Vladimir Luxuria. Ognuno fa le rivoluzioni che può
Negli Stati Uniti hanno Obama, in Spagna Zapatero, in Italia Vladimir Luxuria. Ognuno fa le rivoluzioni che può. In un Paese in perenne debito di facezie, non può non far notizia quella che rischia di rimanere per molto tempo l’unica vittoria della sinistra italiana in un ballottaggio nazionale: Luxuria 56, Belen 44. C’è pure l’anamnesi del flusso dei voti: Belen sarebbe stata sostenuta dagli uomini, Luxuria da donne e associazioni omosessuali. Per larga parte della sinistra, sempre instancabile nell’esercizio dell’ottimismo sterile, Luxuria ha dimostrato come il paese reale sia più avanti dei pregiudizi. Opinione curiosamente condivisa anche da Elisabetta Gardini, impegnata in passato con Luxuria in una vibrante guerra di sessi (e di cessi): «Ben venga la vittoria di Wladimiro Guadagno, dimostra come da parte degli italiani non c’è nessuna discriminazione. Come non c’è mai stata da parte mia». Il giubilo sembra trasversale, con l’eccezione di Pier Ferdinando Casini («La vittoria di Luxuria certifica la morte della sinistra comunista in Italia»). Per Anna Paola Concia (Pd), «Luxuria ha vinto L’isola dei famosi perché, con l’autenticità di uno straordinario animo umano, ha conquistato l’Italia». Secondo Fabrizio Marrazzo, Presidente dell’Arcigay di Roma, «è una vittoria rivoluzionaria». Giovanni Russo Spena (Prc) ha sostenuto come «Vladimir ha dimostrato con intelligenza e sensibilità che si possono portare avanti delle battaglie anche in trasmissioni apparentemente banali». L’onda lunga bipartisan ha travolto perfino Alessandra Mussolini, quella del «meglio fascisti che froci»: «Sono davvero contenta per Vladimir Luxuria. Aveva cose da dire, l’ho tifato, umanamente lo trovo simpatico» (declinato non a caso al maschile). Il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, la vorrebbe alle prossime elezioni europee, ma Luxuria si è defilata. «Non cercavo un trampolino di lancio per una mia seconda entrata in politica. Gli italiani hanno dimostrato di essere più avanti dei politici, che mi ritenevano una nuova Cicciolina. Sono travolta da una tempesta ormonale di felicità. Devolverò metà del premio (200 mila euro) all’Unicef per i bambini: so che non avrò mai figli». Tutti contenti ed ecumenici, a partire da Simona Ventura, convinta di aver contribuito a una svolta epocale: «Luxuria è la lama che affonda nel burro dei pregiudizi del nostro Paese». Può essere. O forse siamo soltanto di fronte alla "Sindrome Denny Mendez", eletta Miss Italia ’96 a furor di stereotipi e buonismo, per dimostrare che l’Italia era così poco razzista da avere il "coraggio" di eleggere una Miss di colore. La vittoria di Luxuria è poco probabilmente una rivoluzione e meno epicamente il solito vernissage italiano. Un tutto cambi perché nulla muti. Un alleggerirsi la coscienza, un dirsi (da soli) quanto si è tolleranti, protetti dal segreto dell’urna televisiva; rassicurati dalla consapevolezza che è reality e non reale; che una Luxuria politica può concretizzare battaglie "inaccettabili", mentre una Luxuria naufraga può far paura giusto a Luca Giurato. E’ stato un trionfo "berlusconiano", nel senso di ottenuto per mancanza di avversari. L’unico credibile, Massimo Ciavarro, si è ritirato. In finale è arrivato persino Tumiotto, mattatore quanto può esserlo Capezzone. Peppe Quintale, Antonio Cabrini, le gemelle napoletane: con simili avversari, perfino Rutelli sarebbe ancora sindaco di Roma. E la rivelazione Carlo, il bidello dalle treccine incancrenite di salsedine, è parso un mix tra la Sandra Milo di "Ciro!" e Pippi Calzelunghe. Luxuria non ha vinto perché transgender, men che meno perché ex parlamentare. Ha vinto perché ha giocato da sola. E’ stata se stessa: colta, simpatica, sensibile. Felicemente lontana dai tremebondi sketch da strapaese a Radio Capital con Mary Cacciola. Nella sua poliedrica carriera, non era mai parsa così convincente. La sua non è la vittoria della diversità, ma della normalità. Alla fine si è rivelata la naufraga più "tradizionale". Nulla a che vedere con le ostentazioni kitsch dei Gay Pride. Persino la sua delazione («Belen e Rossano si sono baciati») ha un chiaro retrogusto conformista. L’eccentrica rovinafamiglie ha finito con l’essere percepita, anzitutto dalle donne, insolito ma credibile baluardo del focolare domestico. Liberazione l’ha prima criticata, poi sdoganata, quindi santificata. Nostra Guevara dei Reality. Chissà però se i compagni si sono accorti che, perfino in tivù, la sinistra per vincere deve spostarsi un po’ a destra. Magari, il giorno che lo scoprono, la cacciano in quanto revisionista. Oppure sfiduciano Giucas Casella. Oppure fanno un’altra scissione: così, per illudersi di essere ancora vivi. ANDREA SCANZI PER LA STAMPA DI MERCOLEDì 26 NOVEMBRE 2008