Laura Guardini, Corriere della Sera 26/11/2008, 26 novembre 2008
MILANO
Funziona. Come era nelle aspettative migliori. Il telo candido steso nel maggio scorso su 150 metri quadrati del ghiacciaio Dosdè, in Alta Valtellina, tra i 2750 e i 2850 metri di quota, ha «salvato» 115 metri cubi d’acqua, ovvero 115 mila litri. Che siano pochi, pochissimi, una lacrima appena (il Dosdè soltanto perde 1 milione di metri cubi ogni anno), è chiaro, ma non è quello il punto. «Certo non è pensabile impacchettare tutti i ghiacciai, ma questo esperimento ci ha dimostrato che frenarne lo scioglimento è possibile» sottolinea Claudio Smiraglia, professore alla Statale di Milano e presidente del Comitato glaciologico italiano. Con Guglielmina Diolaiuti – a sua volta ricercatrice e componente del Comitato – ha guidato la squadra che ha messo a punto e realizzato il progetto cui hanno partecipato anche Provincia di Sondrio e Comune di Valdidentro, oltre alla Levissima che proprio nel gruppo Dosdè Piazzi ha le sorgenti dell’ «altissima e purissima».
L’Ice Protector «bianco puro » – spessore 0,4 centimetri, formato da due strati tra i quali si forma un cuscinetto d’aria isolante – ha funzionato a dovere, facendo barriera contro il calore e schermando completamente la radiazione Uv: a maggio il telo – bloccato da 36 massi – era logicamente allo stesso livello della superficie circostante. Allora, sopra il ghiaccio vivo – il «ghiaccio di ghiacciaio» – c’erano circa 180 centimetri di neve. Neppure un mese dopo, il telo era una gobba alta 30 centimetri rispetto alla zona circostante dove il sole estivo aveva cominciato a sciogliere la neve. Ancora poche settimane e lo spessore di neve sotto il geotessile era a 60 centimetri a monte e 40 a valle. Così, in un crescendo, fino ai 190 centimetri a monte e ai 120 a valle. All’inizio di ottobre, sotto una nevicata, infine, il telo è stato rimosso ed è cominciato il tempo dei bilanci.
Il «ghiaccio di ghiacciaio» non è stato intaccato dal caldo dell’estate. E si è conservata anche una parte dello strato di neve soprastante: a maggio lo spessore di neve sul ghiacciaio corrispondeva a 129 centimetri d’acqua; ad ottobre ne erano rimasti 56; il 43% di spessore dell’acqua è stato quindi conservato. Calcolando che i 115 centimetri di ghiaccio vivo rimasti intatti corrispondono a 105 centimetri di acqua, il risultato finale è il «salvataggio» di uno spessore di 161 centimetri d’acqua, un volume di circa 115 metri cubi, corrispondente a 115 mila litri. L’ablazione totale è stata ridotta del 66%.
Nella parte non protetta, invece, il ghiacciaio ha perduto 244 centimetri di acqua: 129 centimetri costituiti dalla copertura di neve e altri 115 centimetri di ghiaccio vivo.
Ora che la tecnica è collaudata, l’anno prossimo il telo (costo: settecento euro) sarà riusato su una «fetta» di ghiacciaio vicina a quella protetta l’estate scorsa. Quest’ultima – grazie alla neve conservata e quella dell’inverno in arrivo – dovrebbe rimanere ancora «al sicuro». Ma resta sempre una sicurezza minuscola, in tempi di riscaldamento globale ed in confronto allo spessore di 14 metri d’acqua che questo ghiacciaio ha perduto dal 1997 ad oggi.
I ricercatori lo sanno bene. «Ma questa tecnica – spiega Smiraglia – si potrebbe usare in situazioni particolari, per esempio dove le rocce emerse dal ghiaccio formano vere e proprie trappole di calore che accelerano ancora la fusione del ghiaccio: in casi simili, il geotessile può "frenare" il processo di scioglimento ».
La «gobba» La parte del ghiacciaio coperta dal telo ha conservato uno spessore di 1,9 metri in più rispetto all’area circostante
Laura Guardini