Aldo Grasso, Corriere della Sera 26/11/2008, 26 novembre 2008
Forse il Digitale terrestre (Dtt) non è il Paradiso terrestre della comunicazione promesso tante volte dall’ex ministro Maurizio Gasparri, ma è pur sempre una tappa decisiva di quel grande processo di trasformazione che sta rimuovendo l’universo televisivo
Forse il Digitale terrestre (Dtt) non è il Paradiso terrestre della comunicazione promesso tante volte dall’ex ministro Maurizio Gasparri, ma è pur sempre una tappa decisiva di quel grande processo di trasformazione che sta rimuovendo l’universo televisivo. Per anni la tv è stato il principale e più popolare mezzo di intrattenimento e di informazione. Usava (e usa ancora) una tecnologia di trasmissione, il cosiddetto analogico, che occupava molto spazio nell’etere e trasportava (trasporta) un numero relativamente basso di canali. Da un po’ di tempo, la tv si è arricchita di nuove tecnologie, nuove sfide e nuove incertezze. In gioco c’è l’allontanamento da un’economia dominata dal broadcasting terrestre inteso come gratuito per lo spettatore. E se per molti la tv è ancora vissuta come un mezzo di comunicazione «di massa », essenzialmente monodirezionale, il cui mercato principale è «generalista», seppur segmentato, a seconda delle esigenze degli investitori pubblicitari (esempi: Raiuno e Canale 5 per tutti, Italia 1 per i giovani, ecc.), ciò che caratterizza il cambiamento in atto è l’idea della radicale personalizzazione del consumo. La svolta è la progressiva sostituzione del palinsesto con il video on demand e l’allargamento dell’interattivà. Entrambi questi aspetti si legano infatti al fenomeno della digitalizzazione. Con l’introduzione della tecnologia digitale la tv ha mutato il suo statuto e si è trasformata in un new medium. Un new medium è interattivo, personalizzabile, delocalizzato, convergente; solo così si può trasformare la dimensione comunicativa in un atto sempre più complesso e partecipativo. La tv digitale è interattiva in quanto offre al telespettatore la possibilità di costruirsi un palinsesto personale (attraverso la programmazione on demand), di scegliersi il punto di vista dal quale guardare un evento (attraverso la multiregia), di scoprire quali programmi sono in onda (attraverso l’epg, Eletronic Program Guide). Il grado di scambio è per ora ancora insoddisfacente ; infatti per interattività s’intende la capacità di agire in una relazione di reciprocità con gli altri; la comunicazione interattiva è un’azione in cui sia il comunicatore che il fruitore partecipano attivamente, in modo correlato e reciproco a determinare l’effetto (e quindi il significato). Senza troppo entrare in un discorso tecnico, sul mercato si confrontano ora, come sostiene Federico di Chio, direttore del Dtt di Mediaset, non tanto le tecnologie quanto le piattaforme, «entità complesse in cui si compongono tecnologia, modelli di business, forme d’offerta e affordances (cioè quelle proprietà di un oggetto che indicano come farne uso)». Le principali piattaforme sono l’etere (il Dtt è l’evoluzione del vecchio segnale analogico e ha quindi bisogno di molta energia per far funzionare i trasmettitori), il satellite, il cavo coassiale, il vecchio caro doppino telefonico per l’Adsl, la fibra ottica, il mobile. Le nuove piattaforme, a differenza della tv tradizionale, sono a pagamento. Così il telespettatore si trasforma, per usare un’espressione di Alvin Toffler in un prosumer (neologismo nato dalla fusione delle parole producer e consumer). Il prosumer decide quello che vuole vedere, è il costruttore del proprio palinsesto personale e acquista più libertà nel suo rapporto con l’emittente in quanto non è più vincolato agli orari e ai ritmi imposti. In linea teorica, dovrebbe anche acquisire una maggiore consapevolezza di quello che decide di vedere. La rete c’è, l’innovazione avanza, sarebbe anche il caso che ora qualcuno cominciasse a pensare ai contenuti free. Solo così si può parlare di evoluzione. Consumi in atto una progressiva sostituzione del palinsesto con il «video on demand»