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 2008  novembre 17 Lunedì calendario

General Motors, la più grande casa automobilistica d’America (vale l’1% del Pil), è a un passo dal fallimento

General Motors, la più grande casa automobilistica d’America (vale l’1% del Pil), è a un passo dal fallimento. Fondata nel 1908 da Charles E. Wilson, nelle due guerre mondiali i suoi motori avevano mosso i carri armati di mezzo occidente e al ritorno alla pace aveva accompagnato il sogno americano del "bigger is better": station wagon, Corvette, Cadillac ecc. Quando, concorrenti giapponesi, che cominciavano ad affacciarsi con marchi sconosciuti come Toyota, Honda, Datson (la Nissan), esportavano "econobox" che facevano sorridere i cervelli di GM, la casa di Detroit si comprava grosse fette di Daewoo, Opel, Saab. La potenza del sindacato dell’auto, che negli anni Settanta aveva strappato salari di 20 dollari all’ora quando la media operaia era al massimo di 2, aveva gravato la casa di spropositati costi del lavoro. E quando la concorrenza giapponese, la scarsa qualità delle proprie auto (epocali furono i flop della tragica Corvair e della Cadillac Cimarron, versione per poveri dell’auto per ricchi), l’arretratezza dei modelli e la confusione tra troppi marchi diversi (Plymouth, Oldsmobile, Cadillac, Pontiac, Chevrolet) cominciarono a piegargli le gambe, GM non seppe far altro che chiudere stabilimenti. Ma il colpo di grazia è venuto sotto forma di un apperente successo, quello dei Suv, dei 4x4 mastodontici, che ultimamente avevano risvegliato in America ma anche altrove l’appetito per il "bigger is better". Con la complicità della benzina a 25 centesimi al litro degli anni Novanta e del governo che li classificò come veicoli commericali esentantandoli dalle norme sul consumo e l’inquinamento, la GM tornò a essere la regina, ma di un impero che non c’era più. Infatti quando, prima, il record del prezzo del petrolio, poi il crollo della Borsa, faranno crollare le vendite dei Suv, la casa ha cominciato a bruciare 2 miliardi di dollari al mese e 700 concessionarie sono state costrette a chiudere per mancanza di clienti. Il titolo dai trenta dollari di febbraio è sceso allo stesso valore nominale del 1943, poco più di due dollari, e 260 mila posti di lavoro adesso sono legati al filo degli aiuti pubblici.