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 2008  ottobre 25 Sabato calendario

[...] DA STRASBURGO

il corteo si mise quindi in marcia alla volta di Parigi, dove, nel bosco di Compiègne, lo attendeva la famiglia reale al completo. Secondo il cerimoniale, il primo ad andar incontro a Maria Antonietta fu il sovrano Luigi XV, nonno del delfino, che lui stesso presentò alla giovane. Il futuro re aveva solo un anno in più della promessa sposa, ma ne costituiva l’antitesi fisica e caratteriale. Più alto della media, era quanto di più sgraziato, almeno esteriormente, si potesse immaginare. Non un solo tratto del suo corpo e del suo viso rivelava la gloriosa discendenza capetingia. Nessuno avrebbe sospettato in lui l’erede del Re Sole. Era goffo sia quando camminava sia quando stava seduto o in piedi. La mole l’opprimeva, togliendogli quella vivacità d’espressione che nei giovani e lui era un ragazzo è una seconda natura.
Pesante in tutto, tutto sembrava pesargli forse perché tutto urtava, senza vincerli, contro i suoi numerosi complessi. Precocemente miope, doveva servirsi di un occhialino che lo rendeva, se possibile, ancora più impacciato. La voce, «senza essere dura, non aveva niente di piacevole... quando si animava, gli accadeva di passare da un tono normale, quasi sommesso, a toni acuti». Anche per questo parlava poco, non faceva quasi mai domande, sebbene rispondesse a proposito a quelle che facevano a lui.
A immeschinirlo era anche la scarsa cura che aveva di sé. Non teneva all’eleganza nè allo sfarzo. Si vestiva come gli capitava e odiava le cerimonie ufficiali, che l’obbligavano a indossare i pomposi abiti di rappresentanza. Si lavava poco, e sempre controvoglia, e, nonostante gli sforzi del parrucchiere di metter ordine nella sua scomposta, untuosa e forforosa chioma, era sempre spettinato.
Ma valeva più di quel che appariva. Non era sciocco, anche se la sua intelligenza non aveva guizzi e doveva soffermarsi a lungo su un soggetto, analizzarlo con calma sviscerarlo con pedanteria.
Possedeva una discreta cultura perché amava lo studio almeno quanto Maria Antonietta lo aborriva. Era il rifugio in cui trovava conforto che lo isolava da un mondo che forse non capiva e certamente non lo capiva; un mondo che non vedeva le sue virtù e segretamente rideva dei suoi difetti, attribuendogliene più di quanti ne avesse. Conosceva l’inglese come un inglese e traduceva con sbalorditiva facilità i suoi poeti, anche i più ostici. Prediligeva la storia e la geografia, e non solo quelle del suo Paese, amava il teatro e apprezzava la musica.
Ma la sua grande passione era la meccanica. Appena poteva, si ritirava nel suo laboratorio a piallare, segare inchiodare, fondere metalli, tornirli, forgiarli. Si faceva aiutare da falegnami e fabbri, le persone con cui si sentiva più a suo agio. La vita di corte lo annoiava, sebbene anche lui, come l’ultimo dei segretari e lacchè, dovesse sottostare alle pesanti regole, alle spietate leggi del mandarinesco protocollo.
A differenza del nonno, il cinico e debosciato Luigi XV, era sinceramente devoto, non perdeva una messa, rispettava le vigilie, si confessava e comunicava.
Era l’abitudine incarnata, la metodicità fatta persona: non andava mai a letto dopo le undici e la robustezza del suo sonno era pari solo a quella del suo appetito.
Dagli avi non aveva ereditato né i vizi né le virtù, ma ciò che più lo rendeva diverso dagli ultimi Luigi era la totale refrattarietà al fascino femminile. Le belle donne non lo turbavano, quelle spiritose non lo divertivano, quelle colte non lo interessavano. Un carpentiere, purché conoscesse bene la propria arte e fosse in grado d’insegnargliela, valeva ai suoi occhi più di qualunque dama, per quanto avvenente e compiacente. Ma non era una freddezza immotivata, che cercava compensazioni in forme deviate di sessualità. Una ragione c’era: la fimosi, cioè la riduzione parziale dell’apertura del prepuzio, che lo affliggeva dalla nascita. Un’anomalia facilmente eliminabile con un modesto intervento chirurgico, cui fino all’età di ventidue anni egli non volle sottoporsi, creando problemi a se stesso, alla moglie e alla dinastia.
Questo era l’uomo o, piuttosto, il ragazzo che Maria Antonietta si vide venire incontro nel bosco di Compiègne. Se fu più lui a impressionare lei o viceversa, non sappiamo. Certo, al delfino non poterono sfuggire la freschezza, la grazia, il piacevole aspetto della giovane-fidanzata, così come lei dovette, non senza sforzo, far buon viso a cattiva sorte, trovandosi di fronte non a quel principe azzurro che forse aveva sognato, ma a un torpido maschiotto.
La grande delusione, Maria Antonietta l’ebbe la sera successiva alle fantastiche nozze quando, in camera da letto, fu vis-à-vis con lo sposo. Cosa si dissero prima di spegnere il lume, nessun cronista lo ha riferito, anche perché nessuno ebbe il privilegio di assistere allo straordinario evento. Ma tutto lascia credere che non dissero nulla e, quel che è peggio (e su questo non ci sono dubbi), nulla fecero. Né avrebbero potuto fare a causa dell’ostacolo che impediva al delfino di dar fuoco alle polveri amorose.