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 2008  novembre 21 Venerdì calendario

Il cigolio delle ruote di una carrozza che avanza spedita sul suolo polveroso, lo scalpitio degli zoccoli di cavalli al galoppo, lo scricchiolio delle porte del saloon

Il cigolio delle ruote di una carrozza che avanza spedita sul suolo polveroso, lo scalpitio degli zoccoli di cavalli al galoppo, lo scricchiolio delle porte del saloon. Se non fosse per Giulio Base, che di tanto in tanto grida a gran voce: «Action!», si avrebbe l’impressione di essere saliti su una macchina del tempo ed essere finiti nel Vecchio West, nell’ultimo quarto del XIX Secolo. Siamo invece a Bonanza Creek, otto miglia a Sud di Santa Fe, dove da circa un mese e mezzo si sta girando ”Doc West”, la miniserie destinata a Mediaset che segna il ritorno di Terence Hill al genere che l’ha reso famoso, a quindici anni da quel ”Lucky Luke” che sembrava dovesse essere il suo ultimo film western. E invece... Un po’ come aveva fatto Clint Eastewood interpretando ”Gli spietati”, quando aveva già sessantadue anni. Vedendolo in sella a Casey, lo splendido frisone nero cavalcato da Banderas in ”Zorro”, tutto si direbbe di Hill, tranne che da allora siano trascorsi tre lustri: con il cappello a testa larga in testa, il fazzoletto annodato al collo, il lungo soprabito e il cinturone da pistolero, l’attore sembra più giovane - e senza dubbio è più fascinoso - di quando indossa la tonaca in ”Don Matteo”. «Quando fai il western c’è questa energia che ti viene non si sa da dove», è la spiegazione che Terence fornisce a chi gli fa notare la sua splendida forma. Non c’è che dire: questo è davvero il suo mondo. Tanto che, nelle sue intenzioni, la prossima stagione della fiction di Raiuno dovrebbe essere l’ultima, mentre questa potrebbe avere un seguito. «Da bambino volevo fare il cowboy, ho cominciato ad andare a cavallo a 12 anni», racconta, e non si stenta a crederlo, osservando la disinvoltura con cui si lancia al galoppo, in una scena dove deve fermare la corsa folle di un cavallo imbizzarrito che si trascina dietro un povero disgraziato. «Avevo da tanto tempo il desiderio di rifare un western», confessa, «ma c’era un handicap: dopo ”Il mio nome è Nessuno” e ”Trinità”, non si poteva fare un altro film all’altezza, bisognava trovare un soggetto diverso, un personaggio che avesse un passato e perciò potesse interessare il pubblico». Alla fine l’ha trovato: un ex dottore diventato pistolero e grande giocatore di carte, oppresso dai sensi di colpa per non essere riuscito anni prima a salvare la vita a una donna, che si riscatta tornando ad esercitare la professione medica. «Questo film è più una favola, un western per famiglie», spiega, precisando che «non si ride come in ”Trinità”, ma si sorride». Oltre ad essere il protagonista della serie, Terence Hill ne è anche il regista insieme a Giulio Base. «Base è un grande professionista, sa lavorare molto bene sui personaggi e riesce sempre ad essere nei tempi ma nessuno oggi conosce il genere e quindi ho chiesto di poter dare una mano». Tra i personaggi fissi dei due episodi, che raccontano due storie distinte e dovrebbero andare in onda su Canale 5 in primavera, c’è lo sceriffo Basehart, interpretato da Paul Sorvino. «Non avevo mai fatto un western ma da bambino li adoravo, soprattutto quelli terribili di serie B», racconta l’attore newyorkese, vera anima del set con quelle sue arie d’opera, intonate durante le pause con voce tenorile, e con la salsa al pomodoro che ha voluto cucinare personalmente, per ricordare a tutti le sue origini napoletane. Presenza fissa è anche Denise Stark, alias Clare Carey, la maestra del paese che riuscirà a fare breccia nel cuore di Doc West. Nel cast spicca Ornella Muti: nei panni di una giocatrice d’azzardo, vecchia fiamma dello sceriffo, molto abile nel barare. Complessivamente, sul set si muovono oltre 150 tra attori e comparse, 45 cavalli e un nutrito team tecnico composto soprattutto da americani, che vanta professionisti di grande fama come Neil Summers, capo stuntman in un’infinità di film western e non solo, e Sled Reynolds, addestratore tra i più famosi del cinema Usa (è stato lui ad ”insegnare a recitare” al lupo Due Calzini di ”Balla coi lupi”, alle tigri de ”Il gladiatore” e ai leoni de ”La mia Africa”). «Quello che vorrei che emergesse è che ci stiamo mettendo il cuore», commenta Guido De Angelis, produttore del film, «è un progetto di grande qualità. Per me questo è cinema, non tv, tant’è che negli Stati Uniti ”Doc West” andrà sul grande schermo». Girata in pellicola Super 35 mm, in inglese e in presa diretta, la serie è costata 8 milioni e mezzo di euro ed è una vera scommessa. Riuscirà ”Doc West” a vincere questa partita? Di certo, non ha bisogno di barare