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 2008  novembre 24 Lunedì calendario

La crisi spinge i Paperoni d’ Italia verso i titoli di Stato e spiana la strada a un clamoroso ritorno (un po’ obtorto collo) alle radici: l’ investimento dei grandi patrimoni familiari nelle aziende di casa, nella cara vecchia economia reale oscurata da qualche anno di ubriacatura finanziaria

La crisi spinge i Paperoni d’ Italia verso i titoli di Stato e spiana la strada a un clamoroso ritorno (un po’ obtorto collo) alle radici: l’ investimento dei grandi patrimoni familiari nelle aziende di casa, nella cara vecchia economia reale oscurata da qualche anno di ubriacatura finanziaria. La metamorfosi si è consumata negli ultimi 12 mesi: i soldi degli italiani con più di 500mila euro di risparmi (in tutto una montagna d’ oro da 779 miliardi, un quarto dei quali custoditi in Lombardia) - spinti dai primi morsi dell’ Orso - hanno iniziato una migrazione biblica: a fine 2007 solo il 47% era parcheggiato in bond e depositi (37%). Oggi secondo i dati dell’ Associazione italiana private banking (Aibp) ben il 65% è stato messo al riparo dalle oscillazioni dei mercati. Con il resto sistemato in fondi comuni (8%) e gestioni (14%) prudenti e con solo l’ 8% rimasto in Borsa. «Una fuga verso la qualità», come la definisce l’ ufficio studi dell’ Aibp, non del tutto indolore (il patrimonio dei superricchi ha perso in un anno circa il 7% del suo valore) destinata a cambiare per parecchio tempo il modo in cui verranno gestiti questi soldi. «Le cicatrici rimarranno a lungo - ammette Alberto Albertini, ad di Banca Albertini Syz, uno degli storici gestori del patrimoni milanesi - Abbiamo visto fallire banche che credevamo solidissime. Abbiamo visto titoli di stato storicamente granitici trovarsi di colpo senza mercato. Non ne usciremo in tempi brevi...». Uno scenario cupo in cui però i padroni di grandi ricchezze sembrano essersi mossi con una certa compostezza. «Certo c’ è stata un po’ di preoccupazione - racconta Vanni Lucchelli della Compagnia Fiduciaria Lombarda, una boutique finanziaria riservata alla gestione di clienti di alto profilo - L’ unico vero fenomeno collettivo però è stata la fuga di capitali dalla gestione delle grandi banche dove la consulenza è un po’ all’ ingrosso verso realtà più piccole in cui esiste un rapporto fiduciario più stretto con il consulente». Colpa probabilmente della crisi di fiducia nei bei nomi del credito mondiale, da Citigroup in giù, che ha gonfiato negli ultimi mesi anche i depositi delle piccole banche di credito cooperativo. «Ce ne siamo accorti anche noi - conferma Alberto Albertini - Non ci sono state corse allo sportello. Ma diverse persone, anche non sprovvedute, hanno trasferito i loro risparmi verso realtà in cui conosci davvero bene chi gestisce i tuoi soldi e come lo fa. Noi siamo stati anche quest’ anno prudenti, come sempre. Siamo esposti quasi solo su titoli di stato molto liquidi. Ci è andata bene, abbiamo avuto telefonate di gente preoccupata ma nessun riscatto. Il problema è cosa fare ora». Lo scenario in effetti non è semplice per gli investimenti mobiliari. La Borsa e l’ economia sembrano promettere un lungo periodo di lacrime e sangue. Le deflazione sta spingendo verso lo zero i rendimenti dei titoli di stato. Il mattone, vecchio bene rifugio dei capitali di tanti Paperoni, è stato il detonatore della crisi e i valori delle case - dicono un po’ tutti - sono destinati per un po’ a scendere. «I nostri concorrenti oggi sono per assurdo i pronti contro termine di quelle banche che avendo bisogno di liquidità offrono tassi interessanti», dice Albertini. «Qualcuno dei miei clienti sta iniziando molto selettivamente a tornare in Borsa - dice Lucchelli - ma con gradualità». Troppo temerari? Pietro Giuliani, ad di Azimut che ha appena aperto un family office con la Tamburi Investment, è convinto di no. «Certo siamo di fronte a un nuovo ’ 29 e devo dire che le reazioni di chi ha grandi patrimoni sono uguali, a volte addirittura più emotive, di quelle del piccolo risparmiatore - sostiene - Ma ora che tutti fanno le cassandre è il momento delle vere opportunità. Fiat oggi quota a un valore inferiore a quello di quando era considerata fallita. Sconta non solo questa crisi, ma anche quelle del prossimo millennio...». E qualcuno anche tra i Paperoni sembra essere d’ accordo: «In genere sono i veri imprenditori, i più capaci, saranno il 5% del totale - dice Giuliani - Serve disponibilità a capire che si starà magari un anno di ballo, ma questa è un’ occasione di diventare davvero ricchi. Il mondo è già venuto giù e ci sono titoli a valori pari a un quarto un quinto di quello reale dell’ azienda». La realtà, però, è che proprio l’ incertezza sta rilanciando alla grande l’ idea di mettere i propri soldi in quelle aziende di casa che negli anni scorsi erano rimaste un po’ sottopatrimonializzate per colpa della bolla finanziaria. «Il business di famiglia è quello che si conosce meglio. Si sanno le sue esigenze e il suo ritorno - spiega Albertini - E in un momento come questo in cui la liquidità scarseggia, costa troppo e rende poco, in molti potrebbero tornare a scommettere su se stessi». Un segno ad esempio sono i delisting a Piazza Affari. «In sé non sono proprio una bella cosa, si penalizza chi ha comprato a un prezzo più alto - spiega Giuliani - Ma capisco che un imprenditore che vede la sua azienda quotata a un quarto del suo valore sia tentato di definanziarizzare il suo patrimonio. E in effetti sta succedendo». « un’ inversione di tendenza sana - conclude Lucchelli - non più utili che escono dalle aziende per la finanza, ma viceversa». E tra i Paperoni lombardi spaventati dalla crisi delle banche svizzere (dove sarebbero custoditi 270 miliardi circa di soldi tricolori) sarebbe iniziato un discreto passaparola per far rientrare questi capitali - qualcuno spera in uno scudotris - e versarli nel patrimonio delle aziende di casa. Senza, questa volta, passare dalla banca.