Ascesa e declino dell’uomo che sognava di essere l’Avvocato di Giovanni Pons, Affari & finanza, 41/11/2008, pag. 9, 24 novembre 2008
Vuole ripartire da Berlino. «Berlino è la città della speranza. Dopo la caduta del muro è qui che è cominciata la globalizzazione», ha detto Marco Tronchetti Provera presentando il nuovo calendario Pirelli che ha rischiato di non vedere la luce a causa della pesante crisi in corso
Vuole ripartire da Berlino. «Berlino è la città della speranza. Dopo la caduta del muro è qui che è cominciata la globalizzazione», ha detto Marco Tronchetti Provera presentando il nuovo calendario Pirelli che ha rischiato di non vedere la luce a causa della pesante crisi in corso. Ma alla fine ha prevalso la voglia di andare avanti, inviando un messaggio di positività legato a uno dei pochi eventi con un brand italiano protagonista di risonanza mondiale. Purtroppo la crisi sta mordendo l’ industria automobilistica con ricadute pesanti per i produttori di pneumatici. E la Pirelli del dopo Telecom ha puntato molto sugli pneumatici. «La potenza non è niente senza il controllo», recita uno degli spot più fortunati della Pirelli. E questo concetto è stato applicato pervicacemente da Tronchetti nella gestione del gruppo, fin da quando ne ha preso le redini in mano nell’ ormai lontano 1991. La Pirelli usciva con le ossa rotte dalla campagna tedesca, per aver cercato di scalare la Continental senza fare i conti con il fuoco di sbarramento del sistema bancario e industriale renano. Enrico Cuccia decise che era giunto il momento di una svolta manageriale e Leopoldo acconsentì che il delfinogenero (aveva sposato la figlia Cecilia) prendesse il suo posto. A spingere in questa direzione era stato anche, secondo alcune ricostruzioni interne a Mediobanca, quel Gerardo Braggiotti allora direttore del servizio finanziario di via Filodrammatici e che non a caso, soprattutto negli anni della Telecom, è diventato il consulente finanziario più ascoltato da Tronchetti. La prima mossa del managerazionista (attraverso la società di famiglia, la Camfin, aveva già una partecipazione nel gruppo Pirelli), la cessione dei cosiddetti «pro.di», prodotti diversificati (palle da tennis, gommoni, guanti, scarpe), che portò nelle casse della Pirelli circa mille miliardi che consentirono di ridurre parte dei 3.700 miliardi di debiti rimasti in carico in seguito all’ operazione Continental. Ma la vendita dei «pro.di» non fu indolore per l’ azienda e segnò il passaggio a un nuovo stile di gestione molto diverso dal precedente. «La cessione scrivono i due sindacalisti Fabio Fumagalli e Gianmario Mocera nel loro libro "Chi vuole uccidere la Pirelli" in realtà nascondeva il varo del "sistema Tronchetti": la focalizzazione su produzioni mirate invece che sull’ espansione e sull’ investimento come invece era tradizione per la Pirelli». Fatto sta che il nuovo gruppo dirigente, nel quale si fa strada Carlo Buora, colui che per molti anni rappresentò il braccio destro operativo e l’ uomo di maggior fiducia di Tronchetti, riesce a uscire dalle secche e a proiettare la Pirelli negli anni Novanta sostenuta dai due pilastri dei pneumatici e dei cavi, attività quest’ ultima all’ origine della nascita della Pirelli e che nel 2000 era a arrivata a contare per il 61% del fatturato del gruppo. Nella seconda parte degli anni ’90 Tronchetti consolida la sua presa sul gruppo portando la Camfin ad avere sostanzialmente il controllo della Pirelli attraverso la Gpi, una holding finanziaria in cui la famiglia Tronchetti Provera ha la maggioranza ma dove vengono raggruppate anche le partecipazioni delle famiglie Pirelli e Puri Negri. Un componente di quest’ ultima, Carlo Alessandro, figlio di Maddalena Pirelli, sorella di Leopoldo, un curriculum di attore al suo attivo, viene proiettato da Tronchetti alla guida del nascente business immobiliare. Si tratta di riconvertire l’ area della Bicocca, adiacente agli stabilimenti che resero famosa la Pirelli a Milano. In pochi anni Puri Negri costruisce quella che è diventata la terza gamba della Pirelli, una realtà cresciuta a dismisura e troppo velocemente grazie a un modello di business molto complesso, basato sui debiti e sul trading, più adatto ai periodi di forte sviluppo del mercato immobililare che alle fasi di caduta. Il "sistema Tronchetti" è dunque un misto di finanza e industria, di potere e di comunicazione. Diventato capo indiscusso del gruppo, Tronchetti consolida i suoi rapporti con l’ establishment finanziario, soprattutto quello che gravita intorno a Mediobanca di cui Pirelli è tra gli azionisti fin dalla fine degli anni ’80. Considerando che il gruppo non poteva non incidere sul Corriere della Sera, primo quotidiano del paese, espressione di una cultura e di una borghesia di cui Pirelli fa parte a pieno titolo, Tronchetti consolida la Pirelli nell’ azionariato della Rcs. Ma soprattutto si ritaglia una posizione di potere all’ interno del "sistema" che gli permette di seguire da vicino le scelte strategiche su uomini e aziende che gravitano in quell’ orbita e che risultano essenziali per poter sviluppare al meglio anche il business di casa propria. Tronchetti è un uomo d’ affari pragmatico che ha capito l’ inevitabilità di far parte degli equilibri nella galassia dei poteri forti, ma nello stesso tempo non vuole rinunciare ai salti dimensionali che possono proiettarlo ai vertici dell’ imprenditoria italiana. Gioca a favore dell’ uscita di scena dei Maranghi e dei Romiti ma in maniera soft. Il massimo dello splendore lo raggiunge all’ inizio del nuovo millennio quando, complice la bolla della new economy, vende agli americani della Corning alcuni brevetti nella fotonica sviluppati dai Pirelli Labs per la fantasmagorica cifra di 4 miliardi di euro. Con quei soldi, dopo aver distribuito discutibili stock option a se medesimo e ai manager più fidati (Buora e Giuseppe Morchio), andrà all’ assalto della Telecom nel 2001. Mossa che indusse anche il rigoroso Financial Times a proiettarlo nell’ Olimpo con la definizione di nuovo principe degno di prendere il posto dello scomparso Avvocato Agnelli. Ma la smania di crescere e il giramento di testa che coglie chiunque salga sul gradino più alto della società dei telefoni, lo inducono al passo falso. Il prezzo pagato per la Telecom alla vigilia del crollo delle torri gemelle si rivelerà un peso insostenibile. L’ idea industriale che sta alla base della scelta ha una sua valenza teorica. Diversificare in un settore anticiclico, quello delle bollette telefoniche, per compensare gli sbalzi ciclici di settori come gli penumatici e i cavi. Senonchè Tronchetti non ha calcolato che un colosso come Telecom ha bisogno di risorse finanziarie enormi per mantenerne il controllo, risorse di cui il pur solido gruppo Pirelli non disponeva. La scelta di vendere il settore cavi, nel 2004, per 1,3 miliardi di euro, pur di finanziare l’ aumento di capitale di Olimpia necessario a sostenere la fusione TelecomTim, ha rappresentato il passaggio più controverso di questa partita. Anche perché qualcuno avrebbe preferito liberarsi invece della Pirelli Real Estate, arrivata quasi al culmine del suo valore di Borsa. La scelta, ex post, si è rivelata poco lungimirante. Il settore cavi, acquistato per 1,3 miliardi e ridenominato Prysmian, è stato collocato in Borsa dalla Goldman Sachs a una valore di 2,6 miliardi (oggi ne vale 1,43). La Pirelli Re quotata a Piazza Affari a 26 euro ha raggiunto un picco di 65 euro a fine 2006 e oggi è crollata a 4,1 euro (vale solo 186 milioni). La strategia di Puri Negri una volta osannata è diventata un problema da risolvere velocemente. Inoltre il rapporto tra Tronchetti e Puri Negri si è complicato da quando il primo, venduta la Telecom, è tornato a supervisionare anche il feudo dell’ immobiliare. I due hanno caratteri e stili di gestione molto diversi (più freddo e metodico il primo, più istintivo e creativo il secondo) che convivono difficilmente. Ma Puri Negri, unico manager della prima linea ad avere sangue Pirelli nelle vene, ha mostrato la sua riconoscenza rimanendo al fianco di Tronchetti nei momenti difficili dell’ uscita da Telecom che ha comportato una perdita secca per la Pirelli di 3,2 miliardi di euro. Se Cuccia fosse stato ancora in vita, forse, gli avrebbe consigliato di farsi da parte ma Mediobanca ormai ha le armi spuntate. Uscito Maranghi, solo il direttore generale Renato Pagliaro ha osato proporre una scissione della Camfin che avrebbe tagliato le unghie alle attività di Tronchetti. Ma questi, testardo e tenace, ha saputo rintuzzare il colpo e anzi, sta ora cercando di ricostruirsi un’ immagine seriamente intaccata dallo scandalo dei dossier illeciti scoppiato durante la sua gestione in Telecom e dal duro scontro con il governo Prodi. «Non hai capito che la comunicazione è tutto», avrebbe detto a Buora in quegli anni controversi, prima di includere il suo fiero scudiero nella categoria dei "traditori" per aver spalleggiato il presidente Guido Rossi nel mandare a monte l’ ingresso di Telefonica in Olimpia. Il supporto a Cesare Geronzi in Mediobanca ha fatto guadagnare a Tronchetti la carica di vicepresidente ma tutto ciò rischia di non bastare a contrastare il vento gelido della crisi. La Pirelli potrebbe non distribuire il dividendo e la Camfin ha 540 milioni di debiti in parte da rinegoziare. Forse, con il senno di poi, era meglio trattenere le ambizioni da nuovo Agnelli, evitare la Telecom e tutte le sue conseguenze, e magari investire quel clamoroso tesoretto della fotonica nelle attività che all’ inizio del 900 portarono Giovan Battista Pirelli a fondare l’ azienda che porta ancora il suo nome.