Ivo Romano, la Stampa 25/11/2008, 25 novembre 2008
IVO ROMANO PER LA STAMPA DI MARTEDì 25 NOVEMBRE 2008
Anno di grazia 2003. C’era Papa Wojtyla, un campione nella lotta per la pace. C’era Bono, il cantante degli U2, un baluardo nell’impegno umanitario. C’erano alcuni capi di Stato, più o meno meritevoli. E poi c’era Shirin Ebadi, avvocatessa iraniana, una vita dedicata alla difesa dei diritti umani, soprattutto al femminile, che sbaragliò il campo e si aggiudicò l’ambito riconoscimento. Tra i 165 candidati, c’erano pure loro. Gli bastava la nomination, non serviva nient’altro. Una squadra di calcio tra i pretendenti al Nobel per la Pace: un pezzo di storia scritto su un rettangolo di gioco. Un lustro dopo, il grande trionfo.
Il sigillo sul campionato keniota a coronare la lunga rincorsa. Ultima giornata, traguardo a portata di mano. Una sconfitta poteva anche andare, ma guai a incassare una goleada. A scanso di equivoci, Francis Ouma, il bomber, Scarpa d’Oro in pectore, s’è caricato la squadra sulle spalle, ha depositato un paio di palloni nella porta dei Red Berets e chiuso la porta a ogni altrui velleità: 2-1, e via alla festa. Mathare United campione di Kenya, una prima assoluta, a chiudere un cerchio che qualcuno cominciò a disegnare una ventina di anni fa.
Mathare Valley, periferia nord di Nairobi. qui che nacque il miracolo. Più che un luogo, un inferno. Baraccopoli a perdita d’occhio, qualcosa come 600mila dannati della terra stipati come sardine. La povertà è la regola, come la disoccupazione (solo il 20 per cento degli abitanti ha un vero lavoro), l’eccezione non è contemplata. L’Aids, un compagno nel (spesso) breve viaggio della vita (700 vittime al giorno). Il colera e la tubercolosi, i nemici con cui convivere. L’alcolismo, il mesto appiglio in cui affogare i mali. Machete e pistole, gli strumenti di apprendimento degli adolescenti, che studiano la legge della strada, quella della sopravvivenza. Tanti diavoli, un angelo. Bob Munro, canadese, ex ufficiale delle Nazioni Unite, l’artefice del miracolo. L’alba della storia in un torrido pomeriggio. Gli occhi dello straniero calamitati da quel pallone di fortuna, la tradizionale «jwala», fatta di stracci e spago intrecciati, che un nugolo di ragazzini color cioccolato calciavano a piedi nudi. Li avrebbe aiutati, se solo loro avessero ricambiato il favore. Dapprima gli fece da arbitro, e in cambio ottenne che lo aiutassero a pulire la zona. Poi gli offrì un pallone vero, che li convinse a darci dentro con le pulizie. Fu come aver posto la prima pietra di un grande edificio. Da cosa nasce cosa, il progetto prese forma. Prima la Mysa (Mathare Youth Sports Association), poi il Mathare United, la sua emanazione professionistica. Due realtà, un inscindibile legame. Chi gioca coi grandi allena i piccini e serve la comunità: ogni neo-campione nazionale fa 60 ore mensili di servizi sociali, tra corsi di calcio, programmi anti-Aids e altro. E i più giovani, in cambio di strutture e materiale sportivo, tengono pulite le strade, piantano alberi, seguono corsi, frequentano la scuola, un tempo puntualmente marinata.
Il Mathare è cresciuto, su entrambi i fronti. Ben 18mila ragazzi, senza distinzione di età né di sesso, giocano in qualcosa come 1200 squadre. La più importante formazione giovanile è seconda nella classifica mondiale, quella di «street football» è la migliore del pianeta. E c’è chi partendo dal basso è arrivato in alto. Dei 22 nazionali kenioti che presero parte alla Coppa d’Africa del 2004 ben 4 arrivavano dal Mathare United. Denis Oliech è l’esempio, uno di quelli che ce l’ha fatta: gol a grappoli, tanta nazionale, lo sbarco in Francia, nell’Auxerre. Domenica ce l’ha fatta anche il Mathare United.
Bob Munro, prima della partita decisiva, ha pronunciato le parole del cuore: «Avete già fatto la storia: qualunque cosa accada nessuno può negarlo». andata bene. Cinque anni fa la nomination per il Nobel. Ora il primo titolo nazionale. Un miracolo nato nella bidonville.