Chiara Beria D’Argentine, la Stampa 25/11/2008, 25 novembre 2008
Rivendica l’avvocato di Olindo Romano, Fabio Schembri: «Sono orgoglioso di aver onorato la mia toga
Rivendica l’avvocato di Olindo Romano, Fabio Schembri: «Sono orgoglioso di aver onorato la mia toga. Noi legali di Olindo e Rosa Romano siamo stati derisi e dileggiati perché provavamo a difenderli. Sembrava una situazione disperata con una sentenza di condanna all’ergastolo già scritta ma credo nella loro innocenza e credo nel mio ruolo di avvocato: nonostante tutto e contro tutti ho affrontato la tempesta e fatto in modo che la Corte si ritiri con molti elementi riflessione». Non mostra alcun turbamento, anzi è molto soddisfatto il quarantenne avvocato Schembri alla fine delle 7 ore di arringhe davanti alla Corte d’Assise di Como con le quali lui ha chiesto l’assoluzione di Olindo mentre il suo collega, Enzo Pacia ha calato la meno ambiziosa ma classica carta della perizia psichiatrica per i due imputati della terribile strage di Erba. Nessun dubbio, avvocato, a chiedere l’assoluzione? «Il nostro mestiere non è avere dubbi», ribatte Schembri. «Il problema è se accettare o no un cliente. Inutile disquisire sul diritto previsto dall’ordinamento di ogni persona, anche quella che si è macchiata del peggiore delitto, a essere difesa. E, però, il professor Franco Coppi, principe dei penalisti, l’avvocato che tra l’altro ha guidato il team della difesa di Giulio Andreotti rivela un episodio significativo della sua lunga carriera. «Una sola volta - racconta - ho rifiutato una difesa per problemi morali». Era il 1981, sequestro del re del caffè, Giovanni Palombini. Il capo dei rapitori, Laudavino De Sanctis, gli sparò e mise il povero corpo in una cella frigorifera; ogni tanto lo fotografava e mandava le sue foto come se fosse ancora vivo alla famiglia con la richiesta del riscatto. Catturato il De Sanctis voleva essere difeso dal professor Coppi. «Andai in carcere, gli misi una sola condizione: in aula doveva gettarsi per terra davanti ai parenti di Palombini e chiedere perdono. Rispose no, non lo difesi». Secondo Franco Coppi, il «processo impossibile» sulla carta non esiste. «A meno che non lo rendano tale certi avvocati! Anche nel processo più disperato si trova sempre un dettaglio, una pagina su cui costruire e ottenere - non uso mai la parola vincere, il processo non è una partita di calcio - le attenuanti generiche». Conferma l’avvocato Grazia Volo: «Un processo che sembra perso in partenza per un avvocato è quello che, a prescindere dal giudizio etico che non ci spetta, dà maggior soddisfazione». Ricorda Volo che il suo maestro, Luciano Revel, difensore di Gianni Guido nel processo per lo stupro con omicidio del Circeo prima di entrare in aula s’interrogava: «Come faremo a toglierci di dosso tutto questo sangue?». Perizie psichiatriche, ammissione di colpa, risarcimento danni: ovvero, un buon penalista punta alla riduzione del danno. Gianni Guido fu così l’unico degli imputati a prendere 30 anni e sfuggire all’ergastolo, Volo che ha difeso tra l’altro la bierre Cinzia Banelli aveva imparato la lezione. «Premesso che Vittorio Emanuele era innocente, determinante sono state le prove balistiche e le perizie sulla barca del morto», Lodovico Isolabella, legale del Savoia, rivendica così la clamorosa assoluzione del principe davanti alla Corte d’Assise di Parigi dall’accusa di aver ucciso il giovane Dirk Hammer all’isola di Cavallo. Ma un reo confesso è più difficile da difendere? «No, la confessione si può sempre gestire. Può essere determinata da una patologia, dalla disperazione, dalla volontà di coprire gli altri», sostiene Oreste Dominioni, presidente dell’Unione camere penali. «Contrariamente a quello che si crede non capita mai che un cliente si confessi colpevole. Anzi tutti protestano la loro innocenza», aggiunge Franco Coppi. «Il processo più difficile è quello in cui difendi chi si proclama innocente ma tu, suo avvocato, sospetti che invece sia colpevole. CHIARA BERIA D’ARGENTINE PER LA STAMPA DI MARTEDì 25 NOVEMBRE 2008